Abuja, Nigeria – Lavorare per la pace in un tempo di violenza

Un convegno di rappresentanti delle diverse comunità di Sant’Egidio in Nigeria, svoltosi alcuni giorni fa ad Abuja, la capitale del gigante africano, ha voluto riflettere sulle sfide che l’associazione ecclesiale vive nel paese ed in particolare sulla necessità di assumersi la responsabilità di testimoniare e comunicare la pace pur in un contesto segnato sia dalla violenza diffusa, sia – e soprattutto – dalla minaccia del movimento Boko Haram, le cui operazioni terroristiche si fanno scudo di un vocabolario religioso.
Ci si è chiesto come garantire un futuro di pace alla Nigeria, come costruire rapporti di amicizia e stima reciproca coi leader religiosi, coi membri delle diverse confessioni, coi giovani, come essere un seme di dialogo e di una prospettiva unitiva e compassionevole nei confronti della società.
Le comunità nigeriane intendono vivere tutto intero il mandato che papa Francesco ha affidato a Sant’Egidio in occasione della sua visita alla Comunità a Roma il 15 giugno scorso, mettendo in pratica le 3 “p” cui il pontefice aveva fatto cenno: “Andate avanti su questa strada: preghiera, poveri e pace. E camminando così aiutate a far crescere la compassione nel cuore della società, a far crescere l’amicizia al posto dei fantasmi dell’inimicizia e dell’indifferenza”.

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L’età anziana tornante “decisivo” nella Chiesa e nella società

La Comunità di Sant’Egidio partecipa oggi, domenica 28 settembre, al grande incontro voluto da papa Francesco con gli anziani e i nonni del mondo a p.zza San Pietro. 
Un evento in due fasi, la prima in forma di testimonianza e di dialogo, la seconda con la liturgia eucaristica. Al centro “la benedizione di una lunga vita”, come dice il titolo dell’iniziativa. 
Gli anziani della Comunità di Roma, come tutti coloro che sono coinvolti nel servizio ai più sofferenti o ai più soli tra quanti vivono la terza età, vuoi nelle case famiglia di Sant’Egidio, vuoi negli istituti e nelle cliniche di lungodegenza, come pure nel tessuto della Roma dei quartieri, si sono diretti di mattina presto verso San Pietro per una giornata che intende dire “No” alla cultura dello scarto” e “Sì” a una cura della vita che coinvolga tutti e tutti accompagni.
Perché, come ha detto mons. Vincenzo Paglia, Presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, a Radio Vaticana “gli anziani non sono ‘scarti’, anzi stanno nel cuore stesso della Chiesa. [C’è] una ‘decisività’ di questi anni, della terza età, per la vita delle famiglie, della Chiesa e della nostra società”.

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Africa – La preghiera per la pace, memoria fedele di tante situazioni difficili, “ardente aspirazione” di uomini e donne senza numero

Domenica scorsa, 25 maggio, papa Francesco, pellegrino sui luoghi in cui è nato e vissuto il Principe della Pace, aveva voluto sottolineare la necessità e l’importanza di ogni sforzo e di ogni preghiera per la pace. “Costruire la pace è difficile”, aveva detto, “ma vivere senza pace è un tormento. Gli uomini e le donne del mondo intero ci chiedono di portare davanti a Dio la loro ardente aspirazione alla pace”. E aveva continuato: “Tutti abbiamo il dovere di farci strumenti e costruttori di pace, prima di tutto nella preghiera”.
Le comunità di Sant’Egidio nel mondo intendono portare avanti con fedeltà un tale impegno. Si diffonde, in ogni realtà, l’abitudine a riunirsi almeno una volta al mese per invocare da Dio quella pace che Lui solo può assicurare pienamente, per ricordare uno per uno i nomi degli stati e delle regioni del mondo visitate e tormentate dal demone della violenza e della guerra.
Negli ultimi giorni due comunità africane hanno vissuto l’appuntamento per la pace in maniera più viva e larga del solito, come testimoniano le notizie e le foto pubblicate sul sito www.santegidio.org. 
Dalla Repubblica Democratica del Congo, dalla regione del Kivu, tanto sofferente a causa delle milizie armate, da Bukavu, è salita un'invocazione per la fine di ogni violenza, per la pace in ogni angolo del mondo. E significativa è stata anche l’attenzione data all’incontro dai media locali, un dato che riflette la crescente domanda di pace che si registra in Africa.
Qualche migliaio di km più a nord-ovest un’altra bella e sentita preghiera si è celebrata a Bamako, per chiedere che finiscano gli scontri armati che ancora insanguinano il nord del Mali, perché si trovi e si percorra la via del dialogo e della riconciliazione tra tutte le parti in causa. 
Il sito della Comunità riporta la storia di P., donna anziana, maliana, giunta “dopo ore di cammino da un quartiere molto distante. Incurante della stanchezza, pur di unirsi alla preghiera. La donna si è commossa nell'ascoltare quanti paesi nel mondo vivono ancora senza pace: ‘Pregherò ogni giorno per il mio paese, il Mali, ma anche per gli altri che oggi ho sentito nominare’”.

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Viaggio alla fine del mondo

“Voi sapete che il dovere del Conclave era di dare un vescovo a Roma; sembra che i miei fratelli cardinali siano andati a prenderlo alla fine del mondo”. Così papa Francesco il giorno della sua elezione sul soglio di Pietro. A quella fine del mondo si è recentemente diretto il fondatore della Comunità di Sant’Egidio, Andrea Riccardi, per una visita che è stata desiderio di vicinanza a fraternità lontane, ma anche occasione di riflessione sull’itinerario spirituale di papa Bergoglio.
Andrea Riccardi ha visitato la “Villa Miseria 21”, il quartiere della grande Buenos Aires, fatto di baracche e casupole, dove Sant'Egidio da più di 20 anni gestisce una Scuola della Pace. Luogo di attenzione ai più piccoli, di accompagnamento agli adolescenti, la Scuola della Pace è non solo o non tanto un supporto scolastico, bensì una proposta di vita aperta e solidale, una garanzia di libertà dal fascino della violenza, che tante volte avvelena i cuori dei più giovani nelle periferie dell’America Latina.
E' vivo, alla “Villa Miseria 21”, il ricordo di Jorge Mario Bergoglio, che visitava spesso quelle strade da arcivescovo di Buenos Aires. “Il Papa si ricorda del quartiere? Ne parla anche a Roma?" hanno chiesto le madri dei bambini della Scuola della Pace ad Andrea Riccardi, felici e orgogliose della sua risposta affermativa.
E’ indubbio che papa Francesco ha creato un ulteriore ponte tra l’Italia e l’Argentina, tra l’America Latina e l’Europa. Mondi che hanno un motivo in più per cercarsi, per interrogarsi l’un l’altro, per capirsi. 
Il giorno successivo, parlando alla Universidad Católica Argentina, Andrea Riccardi ha tenuto una conferenza proprio sul tema: " Papa Francesco in Europa". Alla presenza di una platea attenta e partecipe ha analizzato la figura del Papa di fronte alle sfide della globalizzazione e la ricezione del suo messaggio nella società europea.“La crisi europea e la crisi della Chiesa hanno provocato il conclave a una scelta intelligente, e cioè quella di un Papa che veniva da un altro mondo, dove quelle crisi non c’erano”, è stato sottolineato. Ma il valore e la portata di tale scelta vanno ben oltre: “In un tempo che vede dissolversi tante reti il problema dell’uomo della globalizzazione è quello dell’individualismo. Ebbene, la Chiesa è risposta

 a tutto questo, è rete, tessuto, comunità, popolo, famiglia; questa è la sua essenza più profonda”. In tale dimensione connettiva si coglie l’inverarsi e l’attualizzarsi, ha concluso Andrea Riccardi, “di quello slancio di simpatia per l’uomo che è stato il 

Vaticano II”.

 

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Filippine – Preghiera e aiuto concreto a chi è stato colpito dal tifone Haiyan

Le comunità di Sant’Egidio nel mondo, toccate dalle notizie che giungono dalle Filippine sulle migliaia di vittime e sulle devastazioni causate dal tifone Haiyan, si sono fatte vicine a quel paese. Hanno inteso rispondere all’appello lanciato da papa Francesco all’Angelus di domenica scorsa, 10 novembre: "Preghiamo per i nostri fratelli nelle Filippine e cerchiamo di far giungere loro il nostro aiuto concreto!".
In tante delle famiglie di Sant’Egidio nel mondo si sono organizzate veglie di preghiera – a Roma martedì 12 novembre: “Abbracciamo tutti voi cari filippini, la nostra solidarietà cercherà di essere vicino a chi è stato colpito”, così monsignor Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, nella basilica di Santa Maria in Trastevere -, per ricordare chi è stato travolto dalla furia degli elementi, per invocare consolazione e salvezza, per testimoniare che la fede e l’amore di Dio possono essere più grandi del pur immenso dolore dovuto alla tragedia. E si è aperta una sottoscrizione, in modo da rispondere efficacemente ai bisogni più urgenti di chi ha perso tutto.
I primi aiuti sono appena partiti da Roma. Un container di indumenti leggeri per uomini, donne e bambini, ma anche cibo in scatola (principalmente legumi) e ausili medici per gli anziani. Il carico è stato indirizzato verso la zona centrale dell'arcipelago, nella città di Cebu, già duramente provata dal terremoto di alcuni giorni prima. 

 

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Tenere viva la speranza di pace per la Repubblica Centrafricana

Un mese fa, a inizio settembre, era stato siglato a Roma, presso la Comunità di Sant’Egidio, un appello per la pace e la riconciliazione nella Repubblica Centrafricana
Sottoscritto da rappresentanti del governo di Bangui, del Consiglio nazionale di transizione, della società civile e delle diverse confessioni religiose, quel documento rappresentava per il paese africano la speranza di una exit strategy da una fase molto difficile della sua storia, una stagione segnata dall’instabilità e da una violenza diffusa.
Il testo del “Patto repubblicano” impegnava le forze vive della nazione nella difesa dei diritti umani e del quadro democratico, ipotizzando anche una serie di meccanismi permanenti per la prevenzione e la gestione dei controversie. A tutti i protagonisti della vita istituzionale e della sfera sociale veniva chiesto di “partecipare alla promozione di una cultura di pace in Centrafrica”.
I partecipanti ai negoziati erano a Roma proprio nei giorni della veglia di preghiera per la pace in Siria e nel mondo convocata da papa Francesco. Un’ulteriore spinta a lavorare per un percorso di pace e riconciliazione. 
E tuttavia, nonostante gli impegni assunti di recente, la situazione nella Repubblica Centrafricana resta difficile. Il quadro generale è confuso, gli scontri continuano. Le violenze riguardano soprattutto zone lontane dalla capitale, vicino ai confini con la Repubblica Democratica del Congo, ma si teme per il futuro e per la tenuta degli accordi di pace. E alle contrapposizioni di parte si mischia a volte un’ostilità tra le comunità religiose presente sul territorio.
C’è bisogno di sostenere lo sforzo di pace avviato dalla Comunità e da tanti uomini e donne di buona volontà, in particolare dalle chiese locali, cattolica ed evangelica. Con un impegno che vinca l’indifferenza, ma pure con una preghiera fedele e insistente che faccia breccia là dove non sembrerebbe possibile. Se la preghiera ha cambiato la storia in Siria nulla impedisce che possa farlo anche in Centrafrica. 

 

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Sant’Egidio lavora per costruire ponti di rispetto e di pace tra le religioni

Nei giorni scorsi Pakistan e Kenya sono stati insanguinati da una violenza che si è definita ‘religiosa’. L’Asia e l’Africa, continenti in cui fedi diverse vivono fianco a fianco da secoli, sono tra le aree del pianeta chiamate a disegnare i tratti del futuro. Sarà possibile vivere insieme tra genti differenti per credo e tradizioni?
Di fronte al sangue versato, alla sfida che la violenza e un terrorismo di matrice religiosa pongono alla civile convivenza e alla coscienza del credente, di chi sa che ‘Pace’ è uno dei nomi di Dio, la risposta, come ha voluto sottolineare anche papa Francesco, è quella della preghiera, del dialogo, della costruzione di ponti. 
Concludendo la sua visita pastorale a Cagliari, informato dell’attentato di Peshawar, in Pakistan, il papa ha esortato a edificare “un mondo migliore e di pace”: “Oggi in Pakistan, per una scelta sbagliata, di odio, di guerra, sono morte 70 persone. Questa strada non va, non serve. Solo la strada della pace serve, che costruisce un mondo migliore. Ma se non lo fate voi non lo farà un altro. Questo è il problema, e questa è la domanda che vi lascio”. E ha aggiunto: “La Madonna ci aiuti sempre a lavorare per un mondo migliore, a prendere la strada della costruzione, la strada della pace, e mai la strada della distruzione e la strada della guerra”.
E’ la strada che la Comunità di Sant’Egidio sente di percorrere. Guardando al prossimo appuntamento di preghiera per la pace, “Il coraggio della speranza”, che si terrà a Roma dal 29 settembre al 1° ottobre. E a un lungo lavoro, svolto negli anni, di costruzione di rispetto reciproco, di vicinanza, di collaborazione, tra uomini e donne di diverse religioni, ma in particolare tra cristiani e musulmani.
Guardiamo, per fare qualche esempio, a quanto organizzato dalle comunità di Sant’Egidio in tanti contesti, europei, asiatici e africani nel mese di Ramadan, tra luglio e agosto scorsi, e citiamo dal sito, www.santegidio.org. 
In Pakistan: “A Sargodha è stata preparata una cena di ‘Id al-Fitr con anziani e bambini poveri. Erano circa 70 invitati, molti hanno benedetto la Comunità che ogni anno si ricorda di loro per la festa. Anche a Lahore, recentemente teatro di violenze contro i cristiani, Sant'Egidio ha vissuto questo segno di pace e di riconciliazione”.
E in Indonesia: “Il mese di Ramadan è un mese benedetto per i musulmani. Come negli anni precedenti la Comunità di Jakarta ha organizzato un evento congiunto per gli amici di strada e i bambini della Scuola della Pace. La grande festa si è tenuta nella Biblioteca Nazionale. E a ogni amico di strada sono stati donati gli abiti per la preghiera: parei per gli uomini e mukenah per le donne”.

 

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La preghiera, la parola, l’amicizia fedele, antidoti alla violenza diffusa

Due esempi, tra i tanti che si potrebbero fare a proposito del lavoro che le comunità di Sant’Egidio nel mondo portano avanti per rispondere alla crescita della violenza in contesti urbani e in mondi giovanili che davvero si configurano come quelle periferie dell’esistenza che sono al centro della preoccupazione pastorale di papa Francesco. E’ un lavoro fatto di educazione alla pace ed alla non violenza nelle Scuole della Pace, di dialogo con la gente, di preghiera.
Il Mozambico, Africa australe. 
Il paese vive forti tensioni politiche e sociali che sfociano talvolta in episodi di grave violenza. La piccola criminalità catalizza tali tensioni in un’avversione che si fa diffidenza occhiuta, organizzazione di ronde notturne, ma anche, tragicamente, linciaggio di presunti ladri. A Beira la locale comunità di Sant’Egidio, che intende reagire a questo fenomeno, la cui diffusione è in aumento, ha invitato a momenti di preghiera e riflessione per cancellare il rancore e l’odio che ognuno vive dentro di sé. Un impegno che ha dato i suoi frutti. Dai dati della polizia emerge che di recente nessun caso di linciaggio è stato registrato in quei quartieri (ad esempio Munhava) in cui Sant’Egidio aveva organizzato preghiere per la pace e la riconciliazione
El Salvador, America centrale. 
Dal 1992 la Comunità ha rafforzato la sua presenza e i legami di amicizia nel quartiere del Bambular, a San Salvador. El Salvador è sommerso da una piena di violenza, a causa dell’imperversare delle maras, le bandi giovanili impregnate di un vero e proprio culto del sangue, di un disprezzo per la vita. Solo il 3 luglio scorso si sono contati 27 omicidi. Ma al Bambular, dove Sant’Egidio organizza da anni la Scuola della Pace, dove da tempo si parla contro la violenza e in favore della pace e di una cultura della vita, ecco che le maras non attecchiscono.
La Comunità crede che può cambiare il mondo, anche nei contesti più difficili. E’ fiduciosa nella forza debole che sale dalla preghiera, una forza di pace e trasformazione dei cuori che si è potuta sperimentare anche di recente, nella veglia per la Siria del 7 settembre scorso. Pregare per la pace, come si è fatto nella cappella del Bambular, vuol dire anche ringraziare per il dono di un clima umano differente nel quartiere grazie alla lunga e fedele presenza di Sant’Egidio.

 

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Un libro per i 40 anni del servizio di Sant’Egidio agli anziani

La Comunità di Sant’Egidio di Roma ricorda quest’anno l’inizio del proprio servizio agli anziani.  

Nel 1973, in una città molto diversa da quella attuale, le cui dinamiche demografiche non facevano certo pensare a un progressivo invecchiamento della popolazione, Sant’Egidio ha intuito quello che sarebbe stato uno degli scenari del futuro. Soprattutto ha colto il grande male del mondo degli anziani, l’isolamento, la solitudine, il rischio di essere quelle “vite di scarto” di cui parla Bauman, cui allude papa Francesco.

Il servizio è divenuto allora amicizia, accompagnamento, condivisione, familiarità. Le “case famiglia” gestite dalla Comunità in vari quartieri di Roma e in un sempre maggior numero di città del mondo sono una sintesi felice dell’approccio di Sant’Egidio alle fragilità della terza età.

40 anni dopo il suo avvio il servizio agli anziani è uno dei più diffusi tra le comunità di tutto il mondo, non solo nel Vecchio Continente, ma anche in quelli più “giovani”, l’Africa, l’America Latina, l’Asia. Ovunque Sant’Egidio è presente si fa vicino agli anziani, ne difende la vita, la accompagna, la sostiene.

L’esperienza di quattro decenni di vicinanza agli anziani è rifluita in un bel libro a più mani, “La forza degli anni. Lezioni di vecchiaia per giovani e famiglie”. Un insieme di contributi che riflettono sulla condizione anziana, suggeriscono percorsi concreti, si interrogano su un’età, la sua forza, le sue prospettive. 

Sì, l’età anziana è una forza. La vecchiaia, come ogni stagione della vita, ha la sua bellezza. Come scrive Andrea Riccardi nell’Introduzione al volume, essere anziani non è per forza di cose un naufragio, può essere un approdo. E il libro aiuta a scoprire come vivere tale approdo.

Anche oltre il mondo di Sant’Egidio. Esso è stato finora presentato in diverse città italiane, e in decine di quartieri di Roma. In municipi, parrocchie, “centri anziani”, case di riposo, biblioteche, un pubblico di ogni età ha potuto apprezzare una sapienza un po’ controcorrente, ma di cui si ha tutti bisogno, perché tutti – si spera – saranno anziani. E perché per tutti è una liberazione comprendere che “la vita non è solo produzione”, ma “qualcosa di più ricco, di più complesso”. E’ affetti e speranza, relazionalità e scambio. Tutti sono necessari, nessuno va scartato. Tutti hanno bisogno gli uni della forza degli altri.

 

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