Anche a Ngozi, in Burundi, l’estate dei giovani di Sant’Egidio con gli anziani

I più giovani della Comunità di Sant’Egidio di Ngozi, una cittadina del nord del Burundi, a pochi km dal confine col Rwanda, hanno iniziato nei mesi scorsi ad avvicinare gli anziani poveri che vivono mendicando attorno alla scuola. Gli altri membri della Comunità, adulti e universitari, li hanno sostenuti in questa amicizia. Un sabato dopo l’altro, con le visite, ma anche con delle feste insieme, si sono inoltrati nel mondo degli anziani, hanno potuto scoprire lo stato di necessità in cui vivono tanti di loro, i loro problemi, i loro bisogni. 
Primo fra tutti quello della casa. Non pochi sono gli anziani costretti a vivere per la strada, senza riparo né garanzie. Perché, allora, non impiegare i mesi estivi, liberi dagli impegni scolastici, per dare una casa agli anziani senza tetto? 
Tutta la Comunità si è data da fare: collette per acquistare legname e mattoni, una progettazione all’altezza, turni di lavoro: i primi due “cantieri” sono già avviati, e quasi conclusi. mentre altri sono in fase di allestimento. Nel frattempo si fa cultura: i liceali della Comunità hanno anche in programma di realizzare un’inchiesta sugli anziani che vivono sulle due colline vicine alla scuola, per censirne il numero e conoscerne meglio le condizioni di vita. 

 

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Gulu (Uganda) – La storia di Ojey: come la Scuola della Pace guarisce le ferite della guerra

Ojey (non è il suo nome, ma lo chiameremo così) è cresciuto in un tempo difficile per il Nord Uganda.
La guerra civile terrorizzava la popolazione, e le zone rurali, soprattutto di notte, erano ostaggio di violenze e sequestri. Per bambini e adolescenti gli incubi tornavano a ogni nuova notizia di rapimento. Ogni sera erano in centinaia a muoversi coi loro fagotti dai villaggi acholi per trovare una sistemazione più sicura nelle strade affollate di Gulu.
Ojey aveva sette anni. Abitava alle porte di Gulu con la famiglia e non aveva bisogno di spostarsi la notte. Almeno così credeva, fino a quando una sera i ribelli entrarono nella sua casa e gli uccisero i genitori.
Ojey non racconta molto di quanto accaduto quella notte
, per vari anni si è chiuso in uno stretto riserbo. 
Fatto sta che il bambino si ritrova da solo. Si aggira per le vie di Gulu, si arrangia come può. Si unisce ad altri bambini e ragazzi di strada.
Un giorno, però, si ferma davanti alla Scuola della Pace della Comunità di Sant’Egidio. Lo fa per curiosità. Ma poi sono tutti gentili con lui. Gli piace fermarsi, guardare quel che succede, fermarsi a leggere e a scrivere.
Alla Scuola della Pace diviene una presenza fedele, puntuale. Conosce pure gli amici italiani della Comunità e scrive loro frequentemente. In ogni lettera il suo inglese migliora e anche le sue parole e i suoi pensieri si fanno più chiari, come se uscissero da un passato buio e doloroso e guardassero a un futuro diverso.
Scrive: “Noi Giovani per la Pace di Gulu, in Uganda, siamo molto contenti di comunicare con voi tramite questa lettera. Come state? Noi bene. E con l’amicizia potremo crescere ancora. Vogliamo chiedervi: Come potremo crescere noi giovani di diverse parti del mondo? E come potremo rendere migliore il mondo? Da parte nostra noi lo facciamo attraverso le nostre riunioni sul Vangelo, le nostre preghiere, visitando i malati negli ospedali, i prigionieri, aiutando i poveri e gli anziani. Attraverso tutto questo potremo rendere migliore il mondo. Il mio sogno è cambiare il mondo, perché gli uomini non debbano più soffrire a causa della povertà e della violenza”. 
Grazie all’aiuto ricevuto nell’ambito del programma di adozioni a distanza di Sant’Egidio, Ojey ha potuto iniziare a studiare, ha fatto progressi importanti. C’è stato molto da recuperare, ma lui si è impegnato tantissimo. 
Per il resto c’è la grande passione del calcio, cui dedica il tempo libero, il tifo per il Chelsea – ma ai mondiali O. è un grande tifoso dell’Italia! -. Ma soprattutto la possibilità di un futuro diverso: a breve Ojey inizierà una scuola professionale per imparare a fare il meccanico.

 

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La Comunità di Sant’Egidio continua la sua battaglia in difesa della vita e per l’abolizione della pena di morte

La Comunità di Sant’Egidio, ovunque nel mondo, continua a spendersi tenacemente in difesa della dignità e del valore della vita umana, e per l’abolizione della pena di morte.

Sant’Egidio ha partecipato a metà giugno al V Congresso della “World Coalition Against the Death Penalty” – rete che unisce le principali associazioni che lottano per l'abolizione della pena capitale, ma anche esponenti dell’opinione pubblica mondiale, politici, giuristi e giornalisti -; ha riaffermato, per bocca del proprio presidente, Marco Impagliazzo, che “spegnere la vita significa spegnere la speranza”, ha protestato per la fine della moratoria in Pakistan e per le ultime esecuzioni capitali in Nigeria.

Come ha scritto Henry Ezike, responsabile delle comunità nigeriane di Sant’Egidio, “la vita è un dono sacro che viene da Dio: ogni uomo dev’essere amato e protetto, in tutte le circostanze […]. Nessuna vita può essere ripagata con la morte di un altro. Non c'è giustizia senza vita! […] Come comunità cattolica Sant'Egidio continuerà a promuovere l’abolizione della pena di morte, fino a quando essa non sarà bandita dalla storia dell’umanità”.

Non si tratta di un sogno irrealizzabile. Tante volte i grandi passi dell’umanità sono stati avviati da piccoli uomini, da forze apparentemente deboli e minoritarie, eppure capaci di interpretare qualcosa di profondo e di profetico.

E’ quanto accaduto, ad esempio, per l’abolizione della schiavitù nella prima metà dell’Ottocento. Una piccola minoranza creativa, essenzialmente composta di attivisti religiosi, riuscì a trasformare la maggiore comunità schiavista del mondo – l’Impero britannico – nella principale nazione emancipatrice. E questo nonostante la tratta e lo sfruttamento degli schiavi fossero estremamente redditizi. Ma la campagna per l’abolizione della schiavitù mise in moto un vero e proprio cambiamento collettivo delle coscienze. Replicato in migliaia di esemplari, ovunque possibile, il logo di quel movimento antischiavista – uno schiavo che diceva: “Non sono anch’io un uomo e un fratello?” – parlò con forza alla società tutta intera, toccò la cultura e la politica e le costrinse a rivedere le proprie consuetudini, le proprie posizioni.

Non è anche il condannato a morte un uomo? Questo è il motivo per cui Sant'Egidio promuove la giornata mondiale “Città per la vita – Città contro la Pena di Morte” il 30 novembre di ogni anno. La speranza è che, ancor più dell’anno scorso, tante altre città si uniscano a una battaglia di vita, di progresso, di umanità.

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Un libro per i 40 anni del servizio di Sant’Egidio agli anziani

La Comunità di Sant’Egidio di Roma ricorda quest’anno l’inizio del proprio servizio agli anziani.  

Nel 1973, in una città molto diversa da quella attuale, le cui dinamiche demografiche non facevano certo pensare a un progressivo invecchiamento della popolazione, Sant’Egidio ha intuito quello che sarebbe stato uno degli scenari del futuro. Soprattutto ha colto il grande male del mondo degli anziani, l’isolamento, la solitudine, il rischio di essere quelle “vite di scarto” di cui parla Bauman, cui allude papa Francesco.

Il servizio è divenuto allora amicizia, accompagnamento, condivisione, familiarità. Le “case famiglia” gestite dalla Comunità in vari quartieri di Roma e in un sempre maggior numero di città del mondo sono una sintesi felice dell’approccio di Sant’Egidio alle fragilità della terza età.

40 anni dopo il suo avvio il servizio agli anziani è uno dei più diffusi tra le comunità di tutto il mondo, non solo nel Vecchio Continente, ma anche in quelli più “giovani”, l’Africa, l’America Latina, l’Asia. Ovunque Sant’Egidio è presente si fa vicino agli anziani, ne difende la vita, la accompagna, la sostiene.

L’esperienza di quattro decenni di vicinanza agli anziani è rifluita in un bel libro a più mani, “La forza degli anni. Lezioni di vecchiaia per giovani e famiglie”. Un insieme di contributi che riflettono sulla condizione anziana, suggeriscono percorsi concreti, si interrogano su un’età, la sua forza, le sue prospettive. 

Sì, l’età anziana è una forza. La vecchiaia, come ogni stagione della vita, ha la sua bellezza. Come scrive Andrea Riccardi nell’Introduzione al volume, essere anziani non è per forza di cose un naufragio, può essere un approdo. E il libro aiuta a scoprire come vivere tale approdo.

Anche oltre il mondo di Sant’Egidio. Esso è stato finora presentato in diverse città italiane, e in decine di quartieri di Roma. In municipi, parrocchie, “centri anziani”, case di riposo, biblioteche, un pubblico di ogni età ha potuto apprezzare una sapienza un po’ controcorrente, ma di cui si ha tutti bisogno, perché tutti – si spera – saranno anziani. E perché per tutti è una liberazione comprendere che “la vita non è solo produzione”, ma “qualcosa di più ricco, di più complesso”. E’ affetti e speranza, relazionalità e scambio. Tutti sono necessari, nessuno va scartato. Tutti hanno bisogno gli uni della forza degli altri.

 

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Nacopa (Mozambico) – Una casa per vincere la lebbra

I lebbrosi di Nacopa hanno finalmente una nuova casa. In un anno e mezzo di lavori le 20 casette dove abitano, un tempo in rovina, sono state restaurate dagli amici della Comunità di Sant’Egidio di Namitoria.

Oggi la lebbra è perfettamente curabile, non è più un’emergenza sanitaria in Mozambico, e molti dei malati del passato sono riusciti a reinserirsi nella società. Il che non toglie che alcuni di essi soffrano ancora di molte limitazioni e continuino ad aver bisogno di assistenza e di vicinanza.

E’ la vicinanza che da dieci anni vive la Comunità di Namitoria, piccolo villaggio del distretto di Angoche, nel nord del Mozambico. I suoi membri visitano il lebbrosario di Nacopa, che è nelle vicinanze, e i suoi 45 ospiti, distribuiscono generi alimentari o vestiti, organizzano il pranzo di Natale.

Gli amici di Sant’Egidio nel lebbrosario sono in maggioranza anziani. Arrivati da bambini, accompagnando i genitori malati, una volta cresciuti, non sapendo dove altro andare, non hanno più lasciato il comprensorio.

E però quel luogo, man mano che si svuotava dei malati, veniva sempre più abbandonato all’incuria. Le case erano in pessime condizioni, scrostate, pericolanti, senza finestre e senza porte.

La Comunità ha capito che si trattava di prendersi cura della situazione, di intervenire per ridare normalità e dignità a quel piccolo gruppo di ex malati.

Perché la casa è la possibilità di una vita differente, è il segno che le cose cominciano a cambiare in meglio. I fratelli e le sorelle della comunità di Namitoria, aiutati dagli sforzi di altre realtà di Sant’Egidio, hanno iniziato a restaurare le case e le hanno poi consegnate agli anziani, con un “termo de entrega”, una dichiarazione ufficiale.

Era la fine dell’emergenza, l’inizio di un futuro possibile, perché normale. Un anziano lebbroso, entrando nella sua nuova abitazione, ha detto: “Adesso posso dormire tranquillo. Anche se piove non mi bagno”. 

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Butare (Rwanda) – Storia di Maurice, dalla strada alla casa-famiglia di Sant’Egidio

La settimana scorsa abbiamo parlato di Sant’Egidio in Rwanda e della casa-famiglia per ex ragazzi di strada gestita dalla Comunità a Butare. Una ventina di minori, sostenuti con le adozioni a distanza, vi hanno trovato un approdo che ha significato per loro calore umano e opportunità di futuro. Grazie all’affetto dei membri della Comunità si è ricostruita attorno a ragazzi che avevano avuto un’infanzia e un’adolescenza difficilissime una famiglia che spera e sogna per il loro futuro.

Quella che vi raccontiamo è una storia esemplare del percorso di tutti, quella di Maurice G..

Maurice è nato nel 1992 in una provincia del sud del paese. Durante il genocidio del 1994 la famiglia – padre, madre e cinque figli – si era rifugiata in Sud Kivu. Ma il caos della fuga, l’enorme folla, avevano fatto sì che i familiari perdessero i contatti con Maurice, che aveva allora appena due anni. E’ quasi un miracolo che il bambino sia sopravvissuto, arrangiandosi chissà come. Tornato in Rwanda con una banda di ragazzini nella su  astessa situazione, a sette anni, dopo un breve soggiorno da una lontana parente, Maurice inizia a girare le diverse città del paese, Nyanza, Gitarama, Kigali, Butare, come un ragazzo di strada, sempre alla ricerca di espedienti per sopravvivere, sempre scacciato. E’ mentre vive per la strada che riceve una notizia terribile: durante una lite nel campo profughi in Kivu, suo padre aveva ucciso la madre. Maurice soffre ancora moltissimo quando racconta di come ha ricevuto quella notizia.

I giovani della Comunità di Sant’Egidio di Butare lo hanno incontrato per la strada qualche tempo dopo. Hanno superato l’iniziale diffidenza, hanno sciolto la maschera di durezza che celava la fragilità di quel ragazzo senza famiglia, è nata un’amicizia. Maurice ha cominciato a frequentare la Scuola della Pace, si è legato a nuovi fratelli più grandi. 

Nel 2005, mentre il governo rwandese inaugura una politica più severa nei confronti dei ragazzi di strada, che prevede il loro ricovero coatto in strutture pubbliche, Sant’Egidio pensa di rispondere al loro bisogno con l’inserimento in un ambiente più umano, in un contesto più familiare. Nasce la casa famiglia di Sant'Egidio a Butare e Maurice è uno dei primi ospiti.

Grazie ad essa la sua vita è radicalmente cambiata. Non soltanto perché a partire da allora ha avuto modo di mangiare tutti i giorni e di vestirsi bene, di frequentare regolarmente la scuola, di essere iscritto all’anagrafe. Ma anche perché, vivendo insieme in maniera nuova e non conflittuale coi suoi coetanei e con gli amici della Comunità, Maurice ha imparato a dare il giusto valore al contatto con gli altri, ai rapporti umani. E’ stato anzi spinto a cercare i propri parenti nel paese, a riannodare i legami con loro, ad andare a trovarli l’estate.

Oggi Maurice è divenuto un ragazzo che guarda al domani con fiducia, che nutre piccole e grandi ambizioni, che sogna di dare il proprio contributo alla crescita complessiva del suo paese. E ringrazia Sant’Egidio che per lui è stato luogo di salvezza dal naufragio, dall’abbandono, dall’emarginazione.

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Bujumbura (Burundi) – Raccolte di farmaci e visite mediche: una rete di solidarietà per dare assistenza medica agli anziani

Dal 2009 la Comunità di Sant’Egidio di Bujumbura visita regolarmente una sessantina di anziani ricoverati presso la Maison Sainte-Elisabeth, l’unica casa di riposo del paese. Attraverso gesti semplici, quali la visita, la conversazione, le passeggiate in città, la condivisione dei momenti di festa – ad esempio col pranzo di Natale – quegli anziani hanno ritrovato gioia e speranza di vivere.

Ma l’istituto sconta gravi carenze in termini di assistenza sanitaria e di disponibilità farmaceutica.

Per questo motivo, dal 2011, la Comunità ha proposto a diversi medici di visitare gli anziani a titolo gratuito. Ne è nata una rete di solidarietà che garantisce agli ospiti dell’istituto un controllo settimanale. Restava da pensare alle medicine. Sant’Egidio si è rivolto ai farmacisti della città, ma ha anche lanciato attraverso i social network un’apposita campagna di sensibilizzazione. I risultati sono stati molto positivi, rivelando il desiderio di tanti di venire incontro al bisogno dei più sfortunati: i medicinali raccolti hanno permesso l’apertura di una piccola farmacia all’interno dell’istituto.

Gli anziani hanno accolto con gioia questi gesti di attenzione da parte dei loro amici più giovani. Uno di loro, Bernard ha ringraziato dicendo: “Già eravate i medici del cuore, ora siete anche quelli del corpo!”.

Ma il sogno che la Comunità coltiva è più grande. Tutti i servizi di Sant’Egidio sono del resto caratterizzati da una tensione insieme utopica e pragmatica. Pragmatica perché le differenti iniziative si misurano con le necessità immediate dei poveri e cercano di individuare soluzioni anche piccole e concrete. Ma pure utopica, perché ogni realizzazione nutre l’ambizione di contribuire allo sprigionarsi di più larghe energie di bene

Sono molti altri, infatti, gli anziani che attendono di essere curati! In Burundi i trattamenti medici fondamentali sono garantiti e gratuiti per le donne incinte e i bambini al di sotto dei cinque anni, ma non per la terza età. E, dato che la maggior parte degli anziani vive in condizioni di povertà estrema, è frequente che chi non può contare sull’aiuto di un figlio, debba rinunciare a una visita o a una medicina. Grave è poi il problema igienico. La maggior parte delle abitazioni in Burundi non ha l’acqua corrente e quando non si riesce ad assicurarsi l’acqua per proprio conto, e non si ha qualcuno che lo faccia per te, si risparmia fino all’ultima goccia. Ne risente l’igiene: spesso gli anziani sono affetti da parassitosi e malattie della pelle.

Per questo la Comunità intende portare avanti un’opera di sensibilizzazione tra la società civile di cui la raccolta dei farmaci è solo un primo passo. L’obiettivo è quello di suggerire e promuovere, con il concorso di altre associazioni, norme legislative specifiche a tutela degli anziani, in modo da non marginalizzare o penalizzare una fascia d’età che sarà numericamente sempre più consistente, anche in Africa.

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Rwanda – La Scuola della Pace, ponte in un paese che ha conosciuto troppi fossati

DOPO LE DIVISIONI ETNICHE, SONO LE DIFFERENZE ECONOMICHE A CREARE DIVISIONI IN RWANDA, UN PAESE CHE CONOSCE UN GRANDE SVILUPPO ECONOMICO

La Comunità di Sant’Egidio è presente da tempo in Rwanda. Le prime realtà che la compongono sono sorte qualche anno dopo il terribile genocidio del 1994, e i primi servizi sono stati quelli organizzati per gli orfani e i ragazzi di strada, vittime appunto della violenza genocidiaria e degli spostamenti di popolazione conseguenti.

Oggi il Rwanda è cambiato. E’ un paese relativamente stabile, organizzato, la cui economia cresce a tassi “cinesi”. C’è meno povertà e le ferite della guerra sembrano rimarginate. Anche Sant’Egidio si è radicata di più. A Kigali è stata costruita una bella casa della Comunità, mentre a Butare la vita in strada è ormai solo un ricordo per i ragazzi che, sostenuti con le adozioni a distanza, vivono nella casa-famiglia di Sant'Egidio, un approdo che ha significato per loro calore umano e opportunità di futuro.

E però, pur in un paese che cambia, che esce dal vicolo cieco del sottosviluppo, i poveri ci sono ancora. Nuove linee di faglia, socio-economiche, hanno preso il posto delle antiche divisioni etnico-identitarie, ormai bandite per legge. Ricchi e poveri vivono gli uni accanto agli altri, a una collina di distanza, ma separati da un destino difficile da evitare. La Comunità, come ha lavorato ieri per comporre ogni contrapposizione etnica, ogni odio residuo, lavora oggi per ricucire il tessuto sociale, per creare un ponte in un paese che ha conosciuto fin troppi fossati.

E’ quel che accade nel pieno centro di Kigali, lì dov’è la casa della Comunità. In quei locali, da cinque anni, due Scuole della Pace settimanali – il giovedì per i ragazzi di strada, il sabato per chi ha una casa e frequenta la scuola pubblica – cercano di offrire a tutti lo stesso destino, di istruzione, di convivenza, di prospettiva.

La Scuola della Pace, Ishuri ry’Amahoro in kinyarwanda, del sabato si rivolge in particolar modo ai figli delle donne che, riunite in cooperative, si occupano per il Comune, a salari molto bassi, della pulizia urbana. Sulla collina della casa della Comunità, il Kiovu cy’Abakire, ovvero il Kiovu “dei ricchi”, si dirigono i bambini e le bambine provenienti dal vicino Kiovu cy’Abakene, il Kiovu “dei poveri”. Ed in questo avvicinarsi, in questo comporsi di una delle nuove fratture del paese, si intravede già un futuro diverso, migliore e garantito per tutti.

La Scuola della Pace diviene allora un ponte prezioso fra due quartieri, separati da non più di un centinaio di metri, che rischiano di essere due mondi distinti, se non contrapposti. Ed è, alla fin fine, la possibilità che ci sia un Kiovu solo, quello dei rwandesi.

 

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Phnom Penh (Cambogia) – Una rete di amicizia per dare un futuro ai più poveri, cominciando dai bambini

La Comunità di Sant’Egidio è presente in Cambogia da diversi anni, attraverso programmi di adozione internazionale e di adozione a distanza, e con dei gruppi di giovani cambogiani, a Phnom Penh e più recentemente a Battambang.

L'impegno di Sant'Egidio a Phnom Penh è principalmente rivolto ai bambini del “Villaggio”, un quartiere molto povero, sorto su un terreno solo a tratti elevato presso le acque di uno dei tanti laghi e laghetti della regione. La zona si allaga quasi completamente durante la stagione dei monsoni (tra maggio e ottobre), tanto che le abitazioni sono raggiungibili solo in barca.

Tutte le case hanno un piano superiore appositamente pensato per il periodo dell’acqua alta. Le condizioni di vita sono molto difficili, evidentemente, ma quella è l’unica area a disposizione dei più poveri, dal momento che il costo dei terreni più “asciutti” o più vicini alla città è proibitivo. Anche a causa della precarietà della vita, al “Villaggio” non esistono negozi o attività economiche, e la stessa frequenza scolastica diviene un problema.

La Scuola della Pace di Sant’Egidio è dunque uno dei pochi ambienti in cui i bambini del “Villaggio” trovano chi si faccia carico della loro istruzione, e del loro futuro. I giovani della Comunità fanno da tramite con associazioni o con singoli donatori che vogliono offrire qualche aiuto, trovando le strade per coniugare la compassione di alcuni a una realtà di poveri spesso invisibile, perché senza nome, senza storia, senza prospettive.

Con l'amicizia si supera l'isolamento – spesso rappresentato fisicamente dall'acqua – e si innesca una catena di possibilità.  Così quei giovani, con mezzi poveri – l'amicizia, la fedeltà, la scuola – restituiscono  la speranza. E' questo il tratto più prezioso dell’impegno della Comunità al “Villaggio”. Diviene possibile, per i bambini della Scuola della Pace, sognare un titolo di studio, un futuro differente.

In un angolo sperduto di un paese che ha tanto sofferto negli ultimi decenni (si pensi alla guerra d’Indocina, e poi al terribile genocidio del 1975-79, di cui ogni famiglia cambogiana porta ancor ale ferite) si ricostruisce così un tessuto di vita e di umanità, che vince il ciclico condizionamento della natura e permette di andare oltre il vicolo cieco della povertà.

 

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Malawi – Sostegno e rifugio in un tempo di crisi economica

Il Malawi fa da tempo i conti con una grave congiuntura economica.

 

Durante gli ultimi mesi del mandato del presidente Bingu wa Mutharika una cattiva gestione politico-economica, centrata sul mito dell’autosufficienza e venata di tentazioni autoritarie, aveva determinato l’allontanarsi dei donors internazionali e la scarsità di alcuni beni essenziali, tra cui la benzina. Un anno fa, l’accesso alla presidenza di Joyce Banda avevano fatto sperare in profondi e positivi cambiamenti. 

La presidente Banda si è mossa in effetti nel senso di una progressiva liberalizzazione politica ed economica, e ha riallacciato i rapporti con i tradizionali finanziatori del Malawi, ma, per soddisfare la comunità internazionale – la cui assistenza copre circa il 40% del bilancio statale – ha dato anche il via a misure improntate al rigore, nonché a una forte svalutazione del kwacha, la moneta locale. Quest’ultima decisione ha innescato un’inflazione galoppante. Tutto ciò che è importato dall’estero, come la benzina, o il pane, o il riso, ha conosciuto aumenti rilevanti. Ma, conseguentemente, anche prodotti locali, come il mais, hanno iniziato a commercializzarsi a prezzi ben più alti: il sacco di mais da 50 kg, che un anno fa si acquistava a 3.000 kwacha (6 euro circa), è ora in vendita al mercato per 10.000 kwacha (20 euro circa). 

Si può immaginare l’impatto di tutto ciò su bilanci familiari già provati, su una società ancora profondamente rurale. Tanto più che l’aumento dei prezzi non si è accompagnato con una revisione delle dinamiche salariali. Ecco perché, dall’inizio dell’anno, la Civil Servants Trade Union, il sindacato dei dipendenti pubblici, ha organizzato diverse manifestazioni di protesta, e degli scioperi che hanno paralizzato il paese: le scuole, gli ospedali, gli aeroporti, sono rimasti chiusi per parecchio tempo, o hanno funzionato a singhiozzo. Gli scioperanti chiedevano un aumento del 65% dello stipendio base, e alla fine il governo ha ceduto, promettendo un adeguamento di poco inferiore. 

 E’ in questo scenario difficile, e in veloce evoluzione, mentre aumenta il numero dei poveri e la disperazione della gente, mentre le speranze alimentatesi con l’insediamento della prima presidente donna del paese sembrano tradursi in una profonda delusione, che le comunità di Sant’Egidio del Malawi – una presenza capillare, che riguarda le maggiori città del paese e molti villaggi – hanno intensificato il loro impegno a favore delle fasce più deboli della popolazione

 Due soli esempi.

 In alcune zone del Malawi (il sud in particolare) gli effetti della crisi economica sono stati ingigantiti dalle forti piogge di gennaio e febbraio. Sono andate distrutte molte case – quelle più povere, costruite con fango e tetto di paglia – come pure il raccolto del mais, e proprio in un periodo, quello che va da Natale a Pasqua, che in Malawi è detto il “tempo della fame”, quello in cui le scorte di mais si esauriscono in attesa del nuovo raccolto di aprile …. Ecco, in un tale contesto, occorreva fare qualcosa. Pur nei limiti delle proprie possibilità la comunità di Mangochi si è data da fare, sostenendo chi più aveva sofferto nel distretto circostante. A inizio marzo un cospicuo carico di aiuti è partito da Mangochi per il villaggio di Mpinganjira, il più colpito

Non solo nel sud del Malawi le Scuole della Pace gestite da Sant’Egidio sono un punto di riferimento per tanti bambini che cercano amicizia e la possibilità di un futuro diverso. 

Mawira è un villaggio presso Liwonde, lontano dalla strada principale che unisce le due vere e proprie città del Malawi, Lilongwe e Blantyre, e che è un po’ la spina dorsale del paese. Parliamo di una zona vicina al confine con il Mozambico, e nei dintorni sono molti i malawiani che decidono di emigrare oltreconfine in cerca di lavoro. Così tanti bambini si ritrovano a vivere con le madri e basta, ovvero coi nonni, oppure, completamente soli, diventano bambini di strada.

 Proprio in questo villaggio la Comunità ha scelto di costruire una casa spaziosa ed accogliente, segno di speranza per tanti bambini, perché non si ritrovino più da soli. Ogni settimana circa 150 minori vi frequentano la Scuola della Pace. Ma anche diversi anziani cercano riparo nella struttura, per non restare soli, per godere di uno spazio che parla di un orizzonte differente. 

 Questa bella casa di Sant’Egidio non è più solo un luogo di formazione, allora, o di accompagnamento, bensì pure quell’“albero” di cui parla il Vangelo (Mt 13, 32) dove “gli uccelli del cielo vengono a ripararsi”, un luogo bello e accogliente dove ritrovare quella serenità e quella fiducia nel futuro di cui sempre si ha bisogno, ma tanto più in un tempo di difficoltà e di crisi.

 


 
 La casa per i bambini di Liwonde

 

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