Il Malawi fa da tempo i conti con una grave congiuntura economica.
Durante gli ultimi mesi del mandato del presidente Bingu wa Mutharika una cattiva gestione politico-economica, centrata sul mito dell’autosufficienza e venata di tentazioni autoritarie, aveva determinato l’allontanarsi dei donors internazionali e la scarsità di alcuni beni essenziali, tra cui la benzina. Un anno fa, l’accesso alla presidenza di Joyce Banda avevano fatto sperare in profondi e positivi cambiamenti.
La presidente Banda si è mossa in effetti nel senso di una progressiva liberalizzazione politica ed economica, e ha riallacciato i rapporti con i tradizionali finanziatori del Malawi, ma, per soddisfare la comunità internazionale – la cui assistenza copre circa il 40% del bilancio statale – ha dato anche il via a misure improntate al rigore, nonché a una forte svalutazione del kwacha, la moneta locale. Quest’ultima decisione ha innescato un’inflazione galoppante. Tutto ciò che è importato dall’estero, come la benzina, o il pane, o il riso, ha conosciuto aumenti rilevanti. Ma, conseguentemente, anche prodotti locali, come il mais, hanno iniziato a commercializzarsi a prezzi ben più alti: il sacco di mais da 50 kg, che un anno fa si acquistava a 3.000 kwacha (6 euro circa), è ora in vendita al mercato per 10.000 kwacha (20 euro circa).
Si può immaginare l’impatto di tutto ciò su bilanci familiari già provati, su una società ancora profondamente rurale. Tanto più che l’aumento dei prezzi non si è accompagnato con una revisione delle dinamiche salariali. Ecco perché, dall’inizio dell’anno, la Civil Servants Trade Union, il sindacato dei dipendenti pubblici, ha organizzato diverse manifestazioni di protesta, e degli scioperi che hanno paralizzato il paese: le scuole, gli ospedali, gli aeroporti, sono rimasti chiusi per parecchio tempo, o hanno funzionato a singhiozzo. Gli scioperanti chiedevano un aumento del 65% dello stipendio base, e alla fine il governo ha ceduto, promettendo un adeguamento di poco inferiore.
E’ in questo scenario difficile, e in veloce evoluzione, mentre aumenta il numero dei poveri e la disperazione della gente, mentre le speranze alimentatesi con l’insediamento della prima presidente donna del paese sembrano tradursi in una profonda delusione, che le comunità di Sant’Egidio del Malawi – una presenza capillare, che riguarda le maggiori città del paese e molti villaggi – hanno intensificato il loro impegno a favore delle fasce più deboli della popolazione.
Due soli esempi.
In alcune zone del Malawi (il sud in particolare) gli effetti della crisi economica sono stati ingigantiti dalle forti piogge di gennaio e febbraio. Sono andate distrutte molte case – quelle più povere, costruite con fango e tetto di paglia – come pure il raccolto del mais, e proprio in un periodo, quello che va da Natale a Pasqua, che in Malawi è detto il “tempo della fame”, quello in cui le scorte di mais si esauriscono in attesa del nuovo raccolto di aprile …. Ecco, in un tale contesto, occorreva fare qualcosa. Pur nei limiti delle proprie possibilità la comunità di Mangochi si è data da fare, sostenendo chi più aveva sofferto nel distretto circostante. A inizio marzo un cospicuo carico di aiuti è partito da Mangochi per il villaggio di Mpinganjira, il più colpito.
Non solo nel sud del Malawi le Scuole della Pace gestite da Sant’Egidio sono un punto di riferimento per tanti bambini che cercano amicizia e la possibilità di un futuro diverso.
Mawira è un villaggio presso Liwonde, lontano dalla strada principale che unisce le due vere e proprie città del Malawi, Lilongwe e Blantyre, e che è un po’ la spina dorsale del paese. Parliamo di una zona vicina al confine con il Mozambico, e nei dintorni sono molti i malawiani che decidono di emigrare oltreconfine in cerca di lavoro. Così tanti bambini si ritrovano a vivere con le madri e basta, ovvero coi nonni, oppure, completamente soli, diventano bambini di strada.
Proprio in questo villaggio la Comunità ha scelto di costruire una casa spaziosa ed accogliente, segno di speranza per tanti bambini, perché non si ritrovino più da soli. Ogni settimana circa 150 minori vi frequentano la Scuola della Pace. Ma anche diversi anziani cercano riparo nella struttura, per non restare soli, per godere di uno spazio che parla di un orizzonte differente.
Questa bella casa di Sant’Egidio non è più solo un luogo di formazione, allora, o di accompagnamento, bensì pure quell’“albero” di cui parla il Vangelo (Mt 13, 32) dove “gli uccelli del cielo vengono a ripararsi”, un luogo bello e accogliente dove ritrovare quella serenità e quella fiducia nel futuro di cui sempre si ha bisogno, ma tanto più in un tempo di difficoltà e di crisi.
La casa per i bambini di Liwonde |