La scuola di lingua di Sant’Egidio, un servizio alla convivenza e all’integrazione

Nei giorni scorsi la comunità di Sant’Egidio di Roma ha celebrato i trent’anni del proprio servizio all’integrazione degli immigrati in Italia attraverso l’insegnamento della lingua.
Trent’anni di amicizia col mondo degli stranieri, trent’anni di condivisione di quella chiave, la lingua, che può aprire la porta a nuove prospettive, a un inserimento dignitoso e proficuo per tutti.
La scuola di italiano era iniziata a Roma con poco più di dieci donne, capoverdiane e latinoamericane, in Italia per lavoro, accomunate dalla necessità di capire e di farsi capire. 
Da allora è passato tanto tempo, l’immigrazione è cambiata, sono cambiati i paesi di provenienza, la collocazione nel mercato del lavoro, lo sguardo della società italiana sui nuovi arrivati. Ma non è cambiato il bisogno di chi giunge in un nuovo contesto, il suo sogno di dignità e di riscatto, il suo desiderio di essere uomo fra gli uomini, donna fra le donne, mattone della costruzione di un paese che riflette il volto, le aspirazioni, le capacità di tanti.
Quella piccola scuola dell’inizio degli anni Ottanta è cresciuta. Nei locali gestiti da Sant’Egidio sono passati ormai più di 100.000 persone, di oltre 180 nazionalità. La scuola stessa ha avuto molti figli, le sedi in Italia sono già una trentina, e l’esempio delle comunità italiane ha suscitato analoghi corsi in Germania, Belgio e Spagna.
La conoscenza della lingua si è ovunque rivelata la chiave per entrare in una società, in una cultura e in un mondo, la prima vera via per l'integrazione. Ha costituito un approdo che salvava da un possibile naufragio. E la possibilità di sognare insieme il futuro, un futuro comune. Ecco cosa si è celebrato in un grande appuntamento al Teatro Brancaccio, nel cuore del quartiere più multietnico di Roma, l’Esquilino. 
Alcuni studenti sono intervenuti, chi raccontando le difficoltà incontrate all’arrivo in Italia e la gratitudine per l’accoglienza ricevuta, chi spiegando come grazie alla scuola non solo è stato possibile integrarsi, ma anche dare un valore aggiunto alla propria presenza in Italia. Tutti hanno testimoniato la gioia di aver trovato proprio nella scuola una nuova famiglia, l’amicizia con italiani e persone di paesi, culture e religioni diverse.
All’Esquilino si è intravista dunque una casa comune da costruire, ognuno col suo contributo, italiani e stranieri, perché chiunque porta il proprio contributo all’edificazione di una società migliore. Una società che avrà bisogno della giovinezza, della speranza, dei sogni degli immigrati. Ma anche della memoria, del radicamento, della continuità offerti da chi accoglie. 
All’Esquilino si è disegnata la bellezza della città e del mondo di domani, quella bellezza di cui parla papa Francesco nella recentissima Esortazione apostolica Evangelii Gaudium: “Come sono belle le città che superano la sfiducia malsana e integrano i differenti, e che fanno di tale integrazione un nuovo fattore di sviluppo!”.

 

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Memoria dei defunti con le famiglie Sinti a Genova

Il 17 novembre la Comunità di Sant’Egidio e le famiglie Sinti di Genova si sono raccolte in preghiera e hanno ricordato i loro defunti. L’amicizia di Sant’Egidio con la comunità di Sinti piemontesi, residenti nel campo di Bolzaneto, è iniziata nel 1984. Molti degli adulti di oggi sono stati bambini delle Scuola della Pace e questo legame, vissuto con familiarità e affetto, si è tramandato ed è cresciuto attraverso le generazioni. 
La preghiera si è svolta nella Chiesa parrocchiale di Santa Maria Assunta del Serro, luogo di incontro  e amicizia con il quartiere, dove in questi anni i bambini e i ragazzi del campo hanno frequentato il catechismo e hanno ricevuto la prima Comunione e la Cresima.
Un anno fa, a Bolzaneto si era recato in visita l’arcivescovo di Genova, cardinale Angelo Bagnasco, che aveva invitato le famiglie del campo a custodire le loro tradizioni e sottolineato il grande valore della "accoglienza della vita in tutte le sue fasi", radicato nella cultura dei rom e sinti. Nell’indimenticabile incontro con i Sinti di Genova, il presidente della CEI aveva invitato la cultura occidentale a "prendere esempio dai nomadi, dai loro valori, che sono i figli e la sacralità della vita anche quando sta andando verso il cielo".

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