Era il 4 ottobre 1992, giorno di San Francesco, quando i rappresentanti delle parti in lotta in Mozambico, Frelimo e Renamo, firmarono a Roma un’accordo di pace che poneva fine ad una guerra civile durata per 18 anni dopo l’uscita dei portoghesi. Da quel giorno il paese non ha più visto scontri, si è trasformato in una repubblica democratica ed ha avuto regolari elezioni. Lo sviluppo economico è tra i più interessanti dell’Africa subsahariana. É meta di turismo per gli appassionati del continente, nonché oggetto di studio fra i “peace-builder ” globali per quella peculiare forma di mediazione portata avanti dalla Comunità di Sant’Egidio con successo.
Come ha fatto questa ex colonia portoghese a ricostruire il paese e mantenerlo in pace senza riprendere in mano le armi, come purtroppo tragicamente accade, rispettando gli accordi di Roma? Le celebrazioni di questi primi 20 anni saranno senz’altro occasione per dare una risposta alla domanda, in Mozambico e altrove.
Certo, il paese ha ancora molti problemi: più della metà della popolazione vive con meno di un dollaro al giorno e l’Aids è molto diffuso (anche questo curato da Sant’Egidio con il programma Dream); la speranza di vita è sotto i 50 anni e la violenza urbana sfocia talvolta in episodi di linciaggio. Come gran parte del continente africano, è al di fuori dagli interessi dell’occidente se non per le sue riserve di gas naturale.
Si può allora fare festa? Sicuramente. Perché in questi 20 anni il paese si è completamente trasformato ed è cresciuta una generazione di giovani che non ha conosciuto il conflitto. In questo periodo sono stati fatti incontri nelle scuole con i testimoni di quella guerra civile, per non dimenticare il dramma ed educare le nuove generazioni alla responsabilità della pace. Ed è stato anche lanciato un Festival musicale panafricano per il miglior pezzo originale sulla ricorrenza (si può anche votare online sul sito http://www.singafrika.org/).
Vent’anni di pace sono un anniversario quasi d’argento che val la pena festeggiare. Ricordando che sempre si può fare qualcosa per la pace, con un pensiero alla Siria o ai tanti paesi in guerra.