Tutte le comunità di Sant’Egidio, ovunque nel mondo, hanno accolto l’invito di papa Francesco a vivere una giornata di digiuno e di preghiera per la pace in Siria lo scorso 7 settembre.
A Roma Sant’Egidio si è unito ai tanti (100.000 persone, si stima) che convergevano verso piazza San Pietro per sostare, in ascolto e in raccoglimento, col Papa. Si è vissuto insieme un momento alto. Si è
combattuto e vinto ogni senso d’impotenza e di rassegnazione, si sono fatte prevalere la fiducia e la speranza in Colui che è il Signore della storia, il Principe della Pace, in Chi è capace di abbattere ogni muro di separazione.
Ma anche in moltissime altre diocesi, in una settantina di paesi nel mondo, in tutti i continenti, le comunità di Sant’Egidio hanno animato analoghi momenti di preghiera, rivolgendo a Dio, con cristiani di diverse confessioni e uomini e donne di buona volontà e di ogni fede, un’invocazione unanime, per la Siria e per le differenti situazioni di conflitto e di tensione sul pianeta.
E’ quanto accaduto, solo per citare qualche paese, in Germania e in Francia, in un’Europa meno capace che in passato di suscitare un'opposizione alla guerra, ma comunque desiderosa di una exit strategy
dal vicolo cieco dello scontro, dal rischio insisto nelle politiche degli ultimatum; ma poi nell’Africa segnata da troppe guerre, che sogna il ritorno o il consolidamento della pace, in Malawi, in Costa d’Avorio (ad Abidjan la Comunità ha mostrato in diretta le immagini da Roma), nella tormentata Repubblica Democratica del Congo (a Goma la guerra è tragicamente vicina), in Rwanda (dove – si vede nella foto – le veglie organizzate nelle maggiori diocesi del paese e presiedute dai vescovi del luogo sono state particolarmente affollate); e ancora nell’America Latina, percorsa dalla violenza diffusa; e in Asia, un continente in cui il rapporto tra culture e religioni differenti è cruciale nella prospettiva di un XXI secolo che si muova nel segno della convivenza e del dialogo (nella foto la veglia a Faisalabad, in Pakistan).
Come ha detto papa Bergoglio nella sua meditazione del 7 sera, “gli uomini, fatti ad immagine e somiglianza di Dio, sono un’unica famiglia […]: l’altro e l’altra sono il fratello e la sorella da amare […]. Il mondo di Dio è un mondo in cui ognuno si sente responsabile dell’altro, del bene dell’altro”. Ma il mondo di Dio può essere il nostro mondo, il mondo dell’uomo. Nella misura in cui, con il Papa, sceglieremo “non lo scontro, ma l’incontro!”; nella misura in cui continueremo a pregare e lavorare per la pace.



Il 9 settembre a Sarajevo, la Comunità di Sant’Egidio darà il via al meeting "Living Together is the Future", Religioni e culture in dialogo per la pace. E’ il tradizionale appuntamento internazionale di incontro e di preghiera per la pace organizzato ogni anno da Sant’Egidio, e che prende ispirazione dallo storico incontro di Assisi voluto da Giovanni Paolo II nel 1986. L’ultima edizione, lo scorso anno, si è svolta a Monaco di Baviera in occasione del decimo anniversario dell’attentato alle Torri Gemelle di New York. Molto significativo il luogo scelto quest’anno ed il fatto di essere stato organizzato da tutte le realtà religiose presenti nella regione. L’incontro è infatti promosso insieme al

Bujumbura. E’ anche questa una dolorosa eredità della guerra civile, sono orfani di guerra o figli di ex combattenti dispersi. La Comunità non li disprezza, non li scaccia, li raduna nelle Scuole della Pace, li porta a giocare e a divertirsi dove tante volte solo i figli dei più benestanti riescono a spostarsi.
deboli.