16 ottobre 1943: una data da non dimenticare

Marcia 16 ottobre - Comunità di Sant'EgidioCi sono date, eventi che non si possono dimenticare. Una di queste è il 16 ottobre 1943, il giorno della grande razzia degli ebrei romani. Fare di questa data una memoria cittadina condivisa è stato un impegno che la Comunità di Sant’Egidio ha fatto suo ormai da molti anni. Ne è prova la marcia che ogni anno, il 16 ottobre parte da Trastevere verso il Portico d’Ottavia, percorrendo a ritroso il percorso che le SS fecero fare agli ebrei romani prelevati all’alba dalle loro case nell’antico ghetto. L’azione congiunta di Sant’Egidio e della comunità ebraica di Roma ha fatto sì che quel luogo porti il nome di Largo 16 ottobre 1943. 

La memoria è un dovere tanto più quando, con il passare degli anni, le voci vive dei testimoni vengono a mancare. Proprio pochi giorni fa, il 1 ottobre, si è spenta quella di Shlomo Venezia, uno dei più infaticabili testimopni dell’orrore dell’olocausto.  E’ urgente quindi, passare alle giovani generazioni, il testimone dell amemoria. Il recente pellegrinaggio di circa 2000 giovani europei as Auschwitz, organizzato dalle Comunità di Sant’Egidio dei paesi dell’Est Europa, è un segno di grand eincoraggiamento.

Ma lo è anche il recente evento "Siamo tutti romani", che ha visto circa 500 giovani – studenti liceali e universitari – riuniti a Roma nella Sala del Centro Agesci, per dire no alla violenza dei pregiudizi, dell’antisemitismo, del razzismo. I giovani hanno ascoltato attoniti e commossi le parole di Rita Prigmore, donna del popolo sinto, che ha fatto l’esperienza del lager, e che ha subito sul proprio corpo gli esperimenti dei medici nazisti.

Per questo vogliamo ricordare oggi, alla vigilia di quel 16 ottobre, un’altra voce, quella di Settimia Spizzichino, l’unica donna che sopravvisse a quel 16 ottobre e, tornata da Auschwitz, fece della parola e della testimonianza incessante la ragione della sua vita e un’arma formidabile contro il male assoluto dell’antisemitismo e di ogni razzismo. Diceva Settimia: 

Settimia Spizzichino - Comunità di Sant'Egidio"Ci sono cose che tutti vogliono dimenticare. Ma io no. Io della mia vita voglio ricordare tutto, anche quella terribile esperienza che si chiama Auschwitz: due anni in Polonia (e in Germania), due inverni, e in Polonia l’inverno è inverno sul serio, è un assassino.., anche se non è stato il freddo la cosa peggiore. Tutto questo è parte della mia vita e soprattutto è parte della vita di tanti altri che dai Lager non sono usciti. E a queste persone io devo il ricordo: devo ricordare per raccontare anche la loro storia. L’ho giurato quando sono tornata a casa; e questo mio proposito si è rafforzato in tutti questi anni, specialmente ogni volta che qualcuno osa dire che tutto ciò non è mai accaduto, che non è vero.  ….  Quarantotto donne eravamo, e sono uscita viva soltanto io. Molte di loro le ho viste morire, di altre so che fine hanno fatto. Come raccontare a una madre, a un padre, che la loro figlia di vent’anni è morta di cancrena per le botte ricevute da una Kapò? Come descrivere la pazzia di alcune di quelle ragazze a coloro che le amavano? Adesso molti dei genitori, dei fratelli, dei mariti, non ci sono più; le ferite non sono più così fresche. A quelli che restano spero di non fare troppo male. Ma adesso devo mantenere la promessa che ho fatto a quarantasette ragazze che sono morte ad Auschwitz, le mie compagne di lavoro. E a tutti gli altri milioni di morti dei Lager nazisti. Di quel gruppo faceva parte anche mia sorella Giuditta. Giuditta, così bella, così fragile, deportata assieme a me il 16 ottobre 1943".
(Dal libro "Gli anni rubati" di Settimia Spizzichino)

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