La coincidenza tra i 50 anni di indipendenza del Malawi e il convegno di Sant’Egidio che si celebra proprio in quel paese con la presenza di Andrea Riccardi ha suscitato una riflessione recentemente pubblicata sul sito della Comunità, www.santegidio.org.
Fa pensare, in effetti, come il cammino del movimento ecclesiale con base a Trastevere si sia legato a doppio filo ai passi ormai adulti di tanti paesi africani che con più o meno successo si fanno artefici del proprio destino e guardano con una fiducia al loro futuro.
Sant’Egidio è amico dell’Africa, è africano. Lo testimoniano il convegno malawiano, cui si è già fatto cenno, quelli che a breve si apriranno a Maputo e a Bujumbura. Ma soprattutto il radicamento di decine, centinaia di realtà locali nel tessuto dei paesi subsahariani; una rete di cultura e di solidarietà che attraversa tanti contesti e contribuisce al loro sviluppo.
50 anni fa o giù di lì papa Paolo VI, canonizzando i martiri ugandesi diceva: “L’Africa, bagnata dal sangue di questi martiri, risorge libera e redenta, pronta ad una rigenerazione cristiana e civile”. 50 anni fa o giù di lì il primo ministro inglese MacMillan parlava di un wind of change che attraversava il continente e col quale si sarebbe dovuto fare i conti, volenti o nolenti.
Qualche decennio dopo, mentre il continente africano si inserisce in una globalizzazione tanto più grande di lui – ricca di opportunità, sì, ma anche di problemi -, mentre soffia un vento forse più arido e materialista, la Comunità di Sant’Egidio continua a tenere viva la speranza di una rigenerazione cristiana e civile delle società subsahariana, a condividere quel sogno di cambiamento che è stato tipico della stagione delle indipendenze africane, nella convinzione che è a partire dai più poveri, e dai paesi più poveri, che si può coinvolgere e trasformare tutti.