Conferenze in tutto il mondo sulla pena di morte. A Roma la testimonianza di Andrej Paluda e Tamara Chikunova

Il 30 novembre scorso il mondo si è illuminato di una luce tutta particolare. Più di 1700 città, in 23 paesi di ogni continente, hanno aderito alla manifestazione “Cities for life 2013”, organizzata dalla Comunità di Sant’Egidio. In ogni città dei riflettori hanno messo in risalto un monumento [nella foto quello nella piazza principale di Goma, Repubblica Democratica del Congo], un luogo simbolo, un palco celebrativo dell’evento.
In ancora più città, in moltissimi dei luoghi in cui Sant’Egidio è presente, ovvero in cui altre associazioni si sono anch’esse coinvolte per dare voce al sogno di un mondo senza pena di morte, si sono tenuti incontri e conferenze, in cui hanno preso la parola esperti, ospiti, attivisti, che hanno contribuito a sensibilizzare sul tema decine di migliaia di persone. 
La pena di morte è apparsa sempre più come un desiderio di vendetta, fuori luogo in un mondo che vuole avanzare sulla via della giustizia e dell’umanità, anacronistico in un tempo che celebra il primato dei diritti umani. Attraverso le parole di tanti si è trasmessa a tutti, e in particolare alle generazioni più giovani, la consapevolezza di quanto la vita sia qualcosa di prezioso, il cui valore non può in nessun caso essere messo in discussione, il cui disprezzo non potrebbe che rendere il mondo peggiore – non si risolvono dei problemi “eliminando una vita umana” (papa Francesco nella Evangelii Gaudium, anche se in un contesto differente) -.
Tra le tante conferenze che si potrebbero citare si vuole qui riandare a quella tenutasi a Roma il 28 novembre. All’Università Pontificia Lateranense migliaia di giovani delle scuole superiori della Città Eterna hanno potuto ascoltare le testimonianze di Andrej Paluda e di Tamara Chikunova.
Andrej Paluda, del Centro per la Difesa dei Diritti Umani “Vjasna”, in Bielorussia, l'unico paese europeo che ancora ricorre alla pena capitale, ha raccontato della brutalità delle esecuzioni: i corpi dei condannati che non vengono restituiti alle famiglie, i detenuti che preferiscono suicidarsi perché solo in tal modo i propri cari potranno avere una tomba cui recarsi.
Tamara Chikunova, dal canto suo, ha portato la testimonianza di una storia personale, il calvario di una madre che non è riuscita a strappare l'unico figlio alla fucilazione, ma che ha saputo, nel suo nome, portare avanti una lotta che si è alla fine rivelata vittoriosa. Se l'Uzbekistan e il Kirgizistan hanno abolito la pena di morte si deve a questa donna, che ha dedicato alla causa tutte le sue energie.
Tamara ha raccontato della prigionia e dell’esecuzione di Dimitri, il figlio che a Taskent, la capitale uzbeka, era stato ingiustamente accusato dell'assassinio di due persone e condannato a morte. Una sentenza eseguita senza attendere neppure l'esito del ricorso, una confessione per estorcere la quale Dimitri era stato costretto ad ascoltare, al telefono, le grida e i lamenti di sua madre, sottoposta a un pestaggio. 
Tamara ha vinto la disperazione iniziando a lottare per salvare dall'esecuzione altri condannati. Da un detenuto aveva infatti ricevuto una lettera del figlio: “Se mamma non farà in tempo e io sarò fucilato, rivolgetevi a lei. Lei saprà aiutarvi. Lei potrà proteggervi dalla morte”. 
Il sogno di Tamara è l’abolizione della pena di morte in tutto il mondo. E in tutti i contesti. “Perché”, ha detto ai giovani di Roma, “la pena di morte non ha confini. La pena di morte sono anche gli anziani in istituto che vivono da soli, aspettando il loro ultimo giorno di vita; sono anche i senzatetto che si lasciano morire di freddo per la strada”. 

 

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