Repubblica Democratica del Congo – Un piccolo popolo che non ha paura della bontà e della tenerezza

Con tutta la Chiesa le Comunità di Sant’Egidio nel mondo hanno appena celebrato la Pasqua, un tempo liturgico che rivela la sfida che il male pone all’esistenza umana, ma anche le grandi energie di bene su cui discepoli pur poveri e deboli possono contare. Qualcosa di vero dappertutto, e forse ancor di più in alcuni scenari africani, ad esempio nella Repubblica Democratica del Congo.

E’ in un quadro spesso difficile che vivono ed operano le comunità presenti in quell’immenso paese, vasto quasi quanto l’intera Europa occidentale. Un contesto problematico, duro, violento. Non soltanto a Nord-Est, verso i Grandi Laghi, dove milizie ribelli e sbandati tengono sotto scacco la vita di milioni di civili indifesi. Ma anche nelle più “tranquille” province dell’Ovest e del Sud.

Eppure, sia nell’affollata e caotica Kinshasa, come anche nel vissuto incerto e nient’affatto lineare delle altre città congolesi, la proposta spirituale di Sant’Egidio, il suo Vangelo del servizio e della gratuità, si pone come un’alternativa umana e pacifica rispetto a un destino che vuole inghiottire tanti in una prospettiva violenta e disumanizzante.

Di “legge del più forte” o di “lotta per la vita” si può parlare in molti contesti congolesi. Una lotta all’interno della quale si è destinati a essere profittatori o vittime, o entrambe le cose. Una lotta che – privo com’è il paese di un valido sistema istituzionale, e avendo lo stato nei fatti abdicato al monopolio della violenza – rischia sempre di travalicare in qualcosa di esasperato, in un darwinismo sociale senza freni e senza pietà.

E’ ciò che il cittadino congolese ha ben presente, specialmente se vive nei grandi agglomerati urbani. A Kinshasa, una volta Kin la belle, oggi la poubelle – la ‘pattumiera’, nell’amaro gioco di parole conosciuto in tutto il paese – si elencano le sette regole per sopravvivere nella “jungla” della capitale, le regole che segue il kinois avvertito, e che invece lo yuma, l’uomo onesto, ma stupido, non conosce. Tra tali “comandamenti” esplicito è il secondo, Mwana muninga mawa te – in lingala ‘Ragazzo, non avere pietà di nessuno’[1] -. Un messaggio duro, spietato, da legge della jungla, appunto. Un messaggio ripetuto in una pluralità di forme e di occasioni.

E’ il messaggio veicolato, ad esempio, dal film Viva Riva!, del congolese Djo Tunda wa Munga. Ambientato a Kinshasa, una città in cui, come dice il trailer della pellicola, “ogni giorno è una lotta”, e “tutto è in vendita”, narra le vicende di un giovane furbo, ambizioso e violento – Riva appunto -, che torna nella sua città natale dopo degli anni passati all’estero, deciso a fare la bella vita, costi quel che costi. E’ il messaggio di cui si fanno forti le bande di giovani che vivono di piccole predazioni ai danni di chi incontrano e che non raramente si spingono sino all’omicidio pur di appropriarsi di qualche banconota, di un cellulare, di un orologio. I membri delle kuluna – così sono dette tali bande – seminano il terrore per le vie della capitale congolese, evidenziano la connivenza o l’impotenza della polizia, si guadagnano spazio sui mezzi d’informazione. Jeune Afrique ha recentemente[2] intervistato alcuni componenti di una kuluna, quella dei Leoni. Questi giovani, inquadrati secondo modalità paramilitari, duri nell’aspetto e nelle relazioni interpersonali, rivendicano il loro agire come una rivalsa di fronte a una violenza maggiore della loro: “‘Siamo quel che siamo perché lo stato ci ha abbandonato. In tanti non hanno nulla […]. Che fare allora? Che fare quando incontri quelli che se la passano bene?’ ‘Kobotola!’ rispondono tutti gridando, ‘Estorcere loro qualcosa’”.

Da tali parole emerge non soltanto una rappresentazione del mondo in cui la violenza è un circolo vizioso senza fine – e il fascino di poter essere una volta tanto attori, e non vittime, di tale ingranaggio perverso -, bensì pure la forza che ha il denaro nell’immaginario collettivo congolese (e non solo congolese, ovviamente). Da strumento di scambio esso si trasforma in un mito, in un idolo, cui è lecito offrire qualsiasi genere di sacrifici. E qui la memoria va al sacrificio di Floribert Bwana Chui, membro della comunità di Sant’Egidio di Goma, impiegato all’Office Congolais de Contrôle, incaricato di verifiche alla frontiera a tutela della salute pubblica, barbaramente ucciso nel luglio 2007 per aver rifiutato di accondiscendere a un tentativo di corruzione.

Certo, alcuni anni dopo quel 2007, lo spazio congolese è in via di rapida trasformazione. Il Congo, in particolare in alcune sue province, non è più uno stato in ginocchio, alla mercé di bande armate. Alcune infrastrutture vedono la luce, il mondo che conta è più vicino a Kinshasa o al Katanga – Lubumbashi, il capoluogo, offre una fotografia del Congo post-transizione, con la corsa allo sfruttamento delle risorse del sottosuolo non più guidata dalle logiche del conflitto tra le varie milizie, bensì inserita nella cornice della globalizzazione neoliberista e dell’emergere della Cina –, i soldi circolano con più facilità e velocità di prima, le cose sembrano mettersi bene per una piccola urban middle class, fasce più vaste della popolazione cominciano a sognare un’uscita dal vicolo cieco della povertà …. Eppure tutto ciò avviene parallelamente al crescere della violenza diffusa, in un quadro di persistente durezza di rapporti fra gli individui e fra i gruppi.

Ma c’è chi ha scelto e sceglie di non condividere tale durezza. C’è chi ha rifiutato e rifiuta di conformarsi alla violenza come metodo e come orizzonte. C’è chi ha inteso e intende la lotta per l’esistenza che sembra segnare il mondo congolese non nel senso di un conflitto a bassa intensità, di un generale homo homini lupus. Bensì nel senso di una tensione affinché la vita, quella propria e quella altrui, la vita di tutti, sia salvaguardata e riscattata.

E’ quanto accade a Kinshasa, nel quadro dei servizi per i poveri gestiti dalle Comunità di Sant’Egidio della capitale congolese. Servizi che assumono la connotazione e il valore di spazi liberati dalla violenza e dal materialismo, dalla durezza come consuetudine e come destino. Nelle cinque Scuole della Pace gestite da Sant’Egidio, a Ligwala, a Masina, a Mbanza Lemba, nel centro per i bambini di strada a Binza, nell’orfanotrofio di Mbudi, si insegnano non le leggi della jungla e della contrapposizione, bensì le regole della convivenza e della lingua. Con gli anziani che si vanno a trovare nell’istituto di Lingwala, nei quartieri di Bibwa e di Lemba, si condivide non il risentimento rabbioso di chi non ha abbastanza, bensì l’affetto e la simpatia di chi ha tanto da dare.

Ma è quanto accade anche a Lubumbashi, in altre Scuole della Pace, in altri servizi agli anziani, nonché a Kikwit (400 km a sud-est di Kinshasa), dove Sant’Egidio visita con regolarità la locale prigione, un istituto al di sotto di ogni standard di civiltà e di umanità: 165 detenuti stretti in due stanze e in un cortile, con a disposizione un bagno alla turca e un rubinetto, un luogo da cui uscire è difficile, anche dopo aver scontato la propria pena, ché bisogna in aggiunta lasciare all’amministrazione carceraria ed alle guardie un sacco di manioca, 28 dollari al prezzo di mercato.

Anche in questo luogo, dove la durezza e la predazione si fanno istituzione, i membri di una piccola comunità, con i loro limiti, con i loro poveri mezzi, non hanno paura di farsi vicini e amici dei detenuti, per essere i rappresentanti di un nuovo Congo, più civile e umano, per essere i discepoli di un Signore che è stato anch’egli incarcerato e torturato, per essere gli araldi di un tempo nuovo di simpatia, di cortesia, di amore, di tenerezza.

E’ quanto ha chiesto a tutti i credenti papa Francesco, nell’omelia di inaugurazione del suo ministero petrino, lo scorso 19 marzo: “Vorrei chiedere, per favore, […] a tutti gli uomini e le donne di buona volontà: siamo “custodi” […] custodi dell’altro […]; non lasciamo che segni di distruzione e di morte accompagnino il cammino di questo nostro mondo! […] Non dobbiamo avere paura della bontà, anzi neanche della tenerezza!”. E’ quanto ogni comunità di Sant’Egidio, in ogni parte del mondo, più o meno difficile, Repubblica Democratica del Congo compresa, si sforza di essere: uomini e donne della bontà e della tenerezza.

 

 

[1] Cit. in J.-L. Touadi, Congo, Ruanda, Burundi. Le parole per conoscere, Roma 2004, p. 100.

[2] Postato sul sito internet il 20 febbraio scorso.

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Mbeya (Tanzania) – La Croce e i poveri al cuore della Quaresima

Le Comunità di Sant’Egidio di Mbeya (Tanzania del sud, a non molti km dal confine col Malawi e con lo Zambia) e dintorni si sono di recente riunite in un’affollata assemblea di metà Quaresima. Tema dell’incontro i passi da compiere lungo l’itinerario che porta alla Pasqua, la preghiera, il digiuno, l’elemosina, la misericordia, il servizio ai più poveri.

Il vescovo di Mbeya, mons. Evaristus Chengula ha voluto che l’assemblea si tenesse nei locali diocesani, proprio dietro la cattedrale, e ha presenziato l’incontro introducendo il confronto e benedicendo i presenti.

Mons. Chengula ci ha tenuto a ricordare la propria presenza a Roma lo scorso febbraio, nel quadro dell’annuale convegno dei vescovi per l’anniversario della Comunità. Ha sottolineato il valore dell’impegno di Sant’Egidio, che concretizza una delle acquisizioni forti del Concilio Vaticano II, ovvero la corresponsabilità dei laici all’interno della Chiesa. E ha avuto parole di simpatia e di vicinanza per l’amicizia che la Comunità vive con il mondo dei poveri, a Roma e in Tanzania.

Un’amicizia che Sant’Egidio vive a Mbeya insieme ai prigionieri del carcere minorile di Soweto, ai ciechi di Mbalizi, agli orfani di Simike, operando in comunione con la chiesa locale. Segni ulteriore di tale prospettiva comune saranno nei prossimi giorni la collaborazione nell’ambito della Commissione diocesana Giustizia e Pace e una serie di conferenze nelle varie università di Mbeya (tra queste la Saint Augustine, cattolica) per parlare del carisma della Comunità e del servizio ai poveri.

A Mbeya e in Tanzania, come dappertutto nel mondo, la Comunità di Sant’Egidio vive con le varie realtà diocesane e con gli altri movimenti ecclesiali la sfida che indica papa Francesco, quella di essere famiglia di discepoli che costruiscono una Chiesa “per i poveri”, che non dimenticano “la Croce del Signore”, che si sforzano di “aver cura di tutti […] con amore, specialmente dei bambini, dei vecchi, di coloro che sono più fragili e che spesso sono periferia del nostro” mondo.

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Uno straordinario vivere. Un ciclo di incontri alla Luiss

"Abbiamo imparato cose che nessun libro ti insegna". E' questo uno dei commenti raccolti dopo il primo incontro del ciclo "Uno straordinario vivere", promosso dagli universitari di Sant'Egidio. Grazie alla collaborazione di alcuni docenti, a marzo e aprile nelle aule universitarie della "Luiss – Guido Carli" si alterneranno testimoni della solidarietà e persone impegnate nell'integrazione e nella pace.  

Protagonista dell'incontro "La città degli invisibili", tenutosi lo scorso 14 marzo, è stato Remigio S., un ex senza fissa dimora, amico di lunga data degli universitari di Sant'Egidio. Sollecitato dalla curiosità del pubblico e del docente che ospitava l'incontro, Remigio ha rivelato la formula semplice di una vita felice e piena di senso: amicizia e fiducia che gli altri sono una risorsa e non un nemico da cui difendersi.

 

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Il Capodanno Cinese, nel rione romano di Esquilino, diventa anche festa dell’integrazione

Roma – In occasione delle festività per il capodanno cinese, il 10 febbraio, la Comunità di Sant'Egidio e il Movimento Genti di Pace, assieme agli studenti della Scuola di Lingua e Cultura Italiana, hanno voluto celebrare in modo particolare questa festa, che segna l'inizio del nuovo anno lunare contrassegnato dal Serpente, offrendo a tutti – cinesi e non – un cartoncino augurale e un dolcetto.
 
Esquilino è un rione del centro di Roma, dove l'immigrazione cinese è diventata molto visibile: tanti sono i negozi con scritte in caratteri cinesi, e agli abitanti di un tempo – oggi in maggioranza anziani – si sono affiancati i giovani cinesi. Un segno di rinascita economica per il quartiere, anche se la convivenza tra diversi è stata percepita più come un problema che come una risorsa.
 
Per questo, Genti di Pace, rispondendo ad una domanda di integrazione tra i vecchi e i nuovi italiani, ha colto l'occasione del capodanno cinese, per organizzare un momento di festa "itinerante" per le vie del rione.
 
Un augurio e un dolcetto: un gesto semplice, un segno d'amicizia, l'occasione per incontrare i cinesi della Capitale, e scoprire che le loro tradizioni possono essere occasione di festa per tutti. Perchè sono l'incontro e la conoscenza reciproca, la base, di un'integrazione possibile e bella all'Esquilino, e ovunque.
Buon Anno del Serpente a tutti!

 

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Lo portarono a Gesù! Accoglienza e educazione alla fede dei disabili.

Succede a Modica, in Sicilia, il 24 e il 25 gennaio, alla parrocchia del Sacro Cuore:

Due giorni per riflettere su come i disabili sono accolti nelle comunità cristiane. Un argomento che i responsabili diocesani e parrocchiali hanno ritenuto rilevante nell’anno della fede e della misericordia.

La Comunità di Sant’Egidio, che ha sviluppato un percorso catechetico con i disabili mentali – rifluito nel libro "Gesù per Amico" – partecipa con la propria testimonianza e con l’animazione di un seminario.

 

Per approfondire: 

Il sito della parrocchia del Sacro Cuore di Modica

Un articolo sul giornale La Sicilia 

Il libro "Gesù per Amico"

 

 

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Un papa a Cipro: il libro di George Poulides ripercorre, con la visita di papa Benedetto XVI, la storia e la cultura del Paese

”Cipro e’ ponte tra Oriente e Occidente. Questo non e’ solo un libro che ci fa conoscere meglio un’isola ricca di storia e cultura, ma un diario d’amicizia che continua”. Lo ha detto il ministro per l’Integrazione e la Cooperazione internazionale, Andrea Riccardi, che del libro ha scritto la prefazione, nel corso della presentazione del volume  dell’ambasciatore di Cipro presso la Santa Sede, George Poulides, "Un papa a Cipro. Viaggio nella cultura e nella storia di un Paese" .

Il libro parte dalla storica visita, nel giugno 2010, di papa Benedetto XVI: il primo papa che si reca nell’isola.

Cipro, dal 2004 membro dell’Unione Europea, è l’estrema frontiera del Vecchio Continente con il Medio Oriente. Le sue vicende sono intrecciate da secoli alla cultura europea e, oggi, la «questione di Cipro», la sua drammatica divisione, l’«ultimo muro» del continente, resta una domanda aperta per l’Europa.

Ma Cipro è anche la porta del cristianesimo in Europa. Le sue radici cristiane affondano in epoca apostolica, risalgono al tempo in cui la predicazione di Paolo e Barnaba inizia a raggiungere anche i pagani. È da qui, dunque, che si avvia l’evangelizzazione dell’intera Europa. Proprio per questo il Papa, durante il suo viaggio, aveva sottolineato l’urgenza del dialogo tra cristiani cattolici, armeni, ortodossi e musulmani e invitato al superamento di quanto divide perché si possa vivere un’era di pace e di riconciliazione.

Il libro di George Poulides è una preziosa testimonianza della visita di Benedetto XVI: che egli inserisce nella storia e nella cultura del Paese. Come sottolinea Andrea Riccardi nella prefazione “Benedetto XVI a Cipro ha realmente voltato pagina su un decennio, il primo del XXI secolo, segnato dalla violenza e che, sull’altare dello scontro di civiltà, ha sacrificato risorse tanto ingenti da lasciare il mondo occidentale avvitato in una crisi economica con la quale dovremo misurarci ancora per anni. Da quell’isola il Papa ha spinto tutti a guardare con speranza al decennio che si apriva”.

George Poulides è il primo Ambasciatore residente della Repubblica di Cipro presso la Santa Sede, le Nazioni Unite e il Sovrano Militare Ordine di Malta.

I proventi della vendita del libro, edito dalle Paoline, saranno devoluti alla Comunità di Sant’Egidio per le sue attività di solidarietà con i poveri.


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Un Natale più “BUONO” grazie ai dipendenti del MPS e AXA-MPS

In questo Natale di crisi, i dipendenti del Monte Paschi di Siena e Axa-MPS hanno raccolto alcune migliaia di euro in buoni pasto a favore del Pranzo di Natale della Comunità di Sant’Egidio.
L’iniziativa ha coinvolto centinaia di dipendenti di tutta Italia da Pordenone a Trapani, da Lecce a Sassari.
Un modo per dimostrare che si può essere solidali e generosi con poco, ma che il contributo di tutti è importante per chi ha più bisogno.
 
PER SAPERNE DI PIU’:
 
 

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Conferenze in tutto il mondo sulla pena di morte. A Roma la testimonianza di Andrej Paluda e Tamara Chikunova

Il 30 novembre scorso il mondo si è illuminato di una luce tutta particolare. Più di 1700 città, in 23 paesi di ogni continente, hanno aderito alla manifestazione “Cities for life 2013”, organizzata dalla Comunità di Sant’Egidio. In ogni città dei riflettori hanno messo in risalto un monumento [nella foto quello nella piazza principale di Goma, Repubblica Democratica del Congo], un luogo simbolo, un palco celebrativo dell’evento.
In ancora più città, in moltissimi dei luoghi in cui Sant’Egidio è presente, ovvero in cui altre associazioni si sono anch’esse coinvolte per dare voce al sogno di un mondo senza pena di morte, si sono tenuti incontri e conferenze, in cui hanno preso la parola esperti, ospiti, attivisti, che hanno contribuito a sensibilizzare sul tema decine di migliaia di persone. 
La pena di morte è apparsa sempre più come un desiderio di vendetta, fuori luogo in un mondo che vuole avanzare sulla via della giustizia e dell’umanità, anacronistico in un tempo che celebra il primato dei diritti umani. Attraverso le parole di tanti si è trasmessa a tutti, e in particolare alle generazioni più giovani, la consapevolezza di quanto la vita sia qualcosa di prezioso, il cui valore non può in nessun caso essere messo in discussione, il cui disprezzo non potrebbe che rendere il mondo peggiore – non si risolvono dei problemi “eliminando una vita umana” (papa Francesco nella Evangelii Gaudium, anche se in un contesto differente) -.
Tra le tante conferenze che si potrebbero citare si vuole qui riandare a quella tenutasi a Roma il 28 novembre. All’Università Pontificia Lateranense migliaia di giovani delle scuole superiori della Città Eterna hanno potuto ascoltare le testimonianze di Andrej Paluda e di Tamara Chikunova.
Andrej Paluda, del Centro per la Difesa dei Diritti Umani “Vjasna”, in Bielorussia, l'unico paese europeo che ancora ricorre alla pena capitale, ha raccontato della brutalità delle esecuzioni: i corpi dei condannati che non vengono restituiti alle famiglie, i detenuti che preferiscono suicidarsi perché solo in tal modo i propri cari potranno avere una tomba cui recarsi.
Tamara Chikunova, dal canto suo, ha portato la testimonianza di una storia personale, il calvario di una madre che non è riuscita a strappare l'unico figlio alla fucilazione, ma che ha saputo, nel suo nome, portare avanti una lotta che si è alla fine rivelata vittoriosa. Se l'Uzbekistan e il Kirgizistan hanno abolito la pena di morte si deve a questa donna, che ha dedicato alla causa tutte le sue energie.
Tamara ha raccontato della prigionia e dell’esecuzione di Dimitri, il figlio che a Taskent, la capitale uzbeka, era stato ingiustamente accusato dell'assassinio di due persone e condannato a morte. Una sentenza eseguita senza attendere neppure l'esito del ricorso, una confessione per estorcere la quale Dimitri era stato costretto ad ascoltare, al telefono, le grida e i lamenti di sua madre, sottoposta a un pestaggio. 
Tamara ha vinto la disperazione iniziando a lottare per salvare dall'esecuzione altri condannati. Da un detenuto aveva infatti ricevuto una lettera del figlio: “Se mamma non farà in tempo e io sarò fucilato, rivolgetevi a lei. Lei saprà aiutarvi. Lei potrà proteggervi dalla morte”. 
Il sogno di Tamara è l’abolizione della pena di morte in tutto il mondo. E in tutti i contesti. “Perché”, ha detto ai giovani di Roma, “la pena di morte non ha confini. La pena di morte sono anche gli anziani in istituto che vivono da soli, aspettando il loro ultimo giorno di vita; sono anche i senzatetto che si lasciano morire di freddo per la strada”. 

 

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Il mio sogno: un mondo senza pena di morte e senza violenza!Giovani per la pace e Universitari di Sant’Egidio per la Giornata mondiale contro la pena di morte

Giovani per la Pace della Comunità di Sant'Egidio la bandQualche centinaio di studenti liceali e universitari romani hanno risposto all’invito dei Giovani per la pace e degli Universitari di Sant’Egidio partecipando all’incontro “City for life – Per un mondo senza violenza” presso l’ITIS "Galilei". 
All’incontro ha offerto la sua testimonianza Rais Buhiyan, giovane statunitense originario del Bangladesh, colpito da un attentato a sfondo razziale. Nel clima di paura scaturito dall’11 settembre 2001, Rais è stato gravemente ferito con un colpo di pistola da Marck Stroman, appartenente a un gruppo di estrema destra che vendicava le vittime delle Torri gemelle uccidendo cittadini musulmani. La risposta di Rais non è stata la vendetta: egli si è battuto perché venisse concessa la grazia al suo attentatore, condannato a morte.
Ha detto Rais: “Anche se Marck ha provato a uccidermi, volevo salvargli la vita. Quello che ha fatto veniva dalla rabbia e uccidendolo non avremmo toccato le cause profonde di quel gesto: odio, rabbia, paura, ignoranza. Vivendo, Marck sarebbe divenuto una persona migliore e avrebbe parlato ad altri”. Gli sforzi di Rais non sono bastati e Marck è stato giustiziato. Ma il perdono è stato più efficace della vendetta, tanto che prima dell’esecuzione Marck ha chiamato Rais “fratello” e ha detto di volergli bene. 
Al termine di una testimonianza vibrante, Rais ha chiesto a tutti di impegnarsi per un mondo senza razzismo e violenza.
Il messaggio è stato raccolto dai Giovani per la pace, che nei loro interventi hanno espresso il desiderio di far vincere la speranza sulla paura. Dall’incontro è sorta infatti la proposta di un impegno più determinato contro il razzismo e l’antisemitismo nelle scuole e nelle università romane. “City for life – Per un mondo senza violenza” ha rappresentato il momento culminante di una serie di conferenze, lezioni e tavole rotonde che si sono svolte nei principali istituti e atenei della città.
iovani per la Pace Comunità di Sant'Egidio per un mondo senza pena di morteMentre i romani esprimevano il loro sdegno per i recenti episodi di antisemitismo, i Giovani per la pace e gli Universitari di Sant’Egidio si sono mobilitati, contrastando con la forza della cultura il razzismo e la violenza.
L’incontro dei Giovani per la Pace e degli Universitari di Sant’Egidio è stato arricchito dal collegamento con l’ITIS “Giorgi” di Brindisi. Dopo il terribile attentato che ha ucciso Melissa Bassi è nata una forte amicizia tra giovani romani e pugliesi. “Grazie a Sant’Egidio si sono ridotte le distanze tra il sud e il nord”, ha osservato una docente. Mentre uno studente ha affermato con convinzione: “Dopo la paura c’è la speranza. La speranza di crescere e migliorare. Anche se siamo una piccola goccia in un grande oceano, siamo pieni di passione e volontà per costruire un mondo migliore!”.
Il messaggio di "City for life – Per un mondo senza violenza" è stato rilanciato dalla musica delle band del movimento musicale Sounds for Peace, che hanno accompagnato con le loro note l’incontro e promosso il concorso Play Music Stop Violence.

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NO ALLA PENA DI MORTE: Il TESTIMONE SHUJAA GRAHAM INCONTRA GLI STUDENTI DI BARI

INIZIATIVA COMUNITA’ SANT’EGIDIO PER GIORNATA CONTRO PENA CAPITALE

(ANSA) – BARI, 28 NOV – ”Rispetto per il prossimo e per i diritti umani: questa e’ la mia filosofia di vita e vi prego di accogliere questo mio appello alla giustizia sociale”. Lo ha detto oggi a Bari Shujaa Graham, l’afroamericano originario della California, condannato a morte per omicidio nel 1976 da una giuria di soli bianchi e poi riconosciuto innocente dopo anni di carcere e di battaglie legali. Graham ha incontrato gli studenti di tre scuole cittadine (Socrate, Flacco e Scacchi) intervenendo ad una conferenza dal titolo ‘Non c’e’ giustizia senza vita’, promossa dalla Comunità di Sant’Egidio nell’ambito della giornata mondiale per l’abolizione della pena di morte ‘Cities For Life, Cities Against the Death Penalty’.

Graham ha ricordato la lunga battaglia legale, con cui e’ riuscito a dimostrare la propria innocenza, ed ha invitato i ragazzi ”a prendere vantaggio dalle opportunita’ che si presentano. Cercate di avere la migliore istruzione possibile – ha detto – fatelo per voi stessi e per non essere schiavi degli altri. Da cittadino del mondo vi dico che questa filosofia riguarda tutti, non solo me e voi”.

L’incontro con Graham, tra i protagonisti della campagna per l’abolizione della pena di morte negli Usa, e’ stata l’occasione per riflettere sulla pena capitale, le violazioni dei diritti umani e sulla legalita’.

La Comunità di Sant’Egidio ha lanciato nel 2002 la prima Giornata Mondiale delle ‘Citta’ per la vita-Citta’ contro la Pena di morte’ (Cities For Life, Cities Against the Death Penalty), scegliendo il 30 novembre per ricordare la data della prima abolizione della pena capitale: quella del Granducato di Toscana, il 30 novembre 1786. Oggi sono 1527 le città che prendono parte a questa mobilitazione, tra cui 69 capitali nei cinque continenti (e quest’anno l’evento si arricchisce delle adesioni di Parigi, Belgrado e Barcellona). Bari partecipa alla giornata mondiale con una serie di iniziative tra cui quella simbolica della torre dell’orologio del Palazzo della Provincia si colorera’ di verde. (ANSA).

TUTTI I TESTIMONI DELLA CAMPAGNA CONTRO LA PENA DI MORTE

 

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