




Non è la prima volta che si incontrano. Sono i Giovani per la Pace della Comunità di Sant’Egidio, studenti delle scuole superiori e universitari. Nelle ultime settimane abbiamo ricevuto tante notizie delle loro iniziative per contrastare un clima violento che si va diffondendo, anche a livello giovanile.
Gli Africa Flashmob (di cui abbiamo visto i video) e le assemblee "Siamo tutti romani" per favorire l’integrazione e contrastare ogni forma di xenofobia e di razzismo, hanno avuto grande successo, indicando come il desiderio di una società plurale e pacifica non sia solo di alcuni, ma nel cuore di tanti.
Ora tornano con una nuova convocazione: City for Life, per un mondo senza violenza, un’assemblea a cui prenderà parte, come testimone dei rischi della deriva violenta, anche un giovane texano di origini del Bangladesh, Rais Buhyian, vittima del clima di violenza e di odio scatenatosi negli Stati Uniti dopo l’11 settembre, fondatore di un’associazione che propone la riconciliazione e il perdono e si oppone all’uso della pena di morte.
L’appuntamento è all’ITIS Galilei, Via Conte Verde, 51 Roma, il 29 novembre alle ore 16. Facciamolo sapere a tanti!
Mercoledì 24 ottobre mons. Nosiglia, arcivescovo di Torino, ha presentato la sua nuova Lettera Pastorale dedicata a rom e sinti. “Non stranieri ma concittadini e familiari di Dio. Voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio (Ef. 2,20)”. Abbiamo chiesto a Daniela Sironi, responsabile della Comunità di Sant’Egidio in Piemonte, che collabora con l’arcivescovo nell’attenzione ai rom e sinti, di parlarci di questo importante documento.
Come è nata l’idea di dedicare una lettera pastorale dedicata a rom e sinti?
Visitando i rom nei campi che sorgono numerosi alla periferia di Torino: l’incontro con le famiglie, con la miseria, le condizioni di vita disumane dei campi e in ultimo, l’attacco incendiario alla Continassa, che ha evidenziato come una cultura razzista fosse presente in alcune frange della nostra città. La Comunità cristiana non poteva ignorarla. Per questo c’era bisogno di una parola nuova, antica come il Vangelo, e proprio per questo fortemente innovativa, per aiutare tutti a guardare ai rom e ai sinti sotto una nuova luce.
Gli oltre 4000 rom che vivono a Torino costituiscono una minoranza tanto disprezzata quanto esclusa dalla vita della città. Con questa lettera l’arcivescovo vuole rimettere i rom al cuore della Chiesa e della città di Torino e ripartire proprio da loro per rifondare una nuova convivenza urbana che sia capace di includere, di avvicinare, di stringere nuovi legami di fraternità e di solidarietà.
La lettera vuole proporre un’edizione moderna della santità sociale, così luminosamente espressa dai santi torinesi del passato: affrontare oggi i “problemi” che sembrano irrisolvibili con uno slancio di carità che attraversa la vita quotidiana dei cristiani, ma che è anche una proposta a tutti come nuova frontiera della solidarietà.
A chi è rivolta questa Lettera pastorale?
La lettera si articola in tra parti, rivolte a destinatari diversi: Ai Rom e ai sinti che vivono con noi; ai rappresentanti delle Istituzioni politiche e civili; alle Comunità cristiane della Diocesi.
Scrivere ai rom e ai sinti è un gesto di grande stima, di venerazione di un’umanità troppo a lungo umiliata e disprezzata. Una lettera che si rivolge “Ai rom e ai sinti che vivono con noi” con la paternità della Chiesa e la familiarità di chi sente la pena dei loro cuori: esprime amicizia, simpatia, rispetto, fiducia. E’ prima di tutto una parola che incoraggia i rom e i sinti ad avere fiducia, esprimendo la fiducia sua e della Chiesa, ma soprattutto l’amore di Gesù e la presenza si Gesù tra loro. Rom e sinti, cristiani e musulmani, come fratelli e non come estranei. “Il nostro futuro è vivere insieme, come una grande famiglia. In una famiglia si vive insieme, ma nessuno è uguale ad un altro. … Vorrei farvi sentire l’affetto dell’abbraccio della Chiesa che io rappresento e di tanti torinesi che vi amano; vorrei farvi sentire l’affetto dell’abbraccio di Gesù, Salvatore del mondo, Re dei Re, amico dei poveri, fratello dei Rom e dei Sinti… "
Ai rappresentanti delle Istituzioni, che hanno il compito di promuovere il bene comune, anche quello di Rom e Sinti e la responsabilità di garantire il benessere dei cittadini, la lettera, mentre esprime la comprensione per le difficoltà dei tempi e la scarsità dei mezzi, invita però ad un soprassalto di impegno civico per garantire il futuro di tutti a partire dagli ultimi. “Non dite che son tempi difficili per tutti e non ci sono risorse, perché se oggi tanti sono più poveri per la crisi, in un certo senso, i Rom e i Sinti sono in crisi da sempre, anzi, da prima … Sapremo tutti insieme, garantire il diritto e la dignità alla più numerosa minoranza europea che vive con noi? Sapremo offrire la parità di diritto e di doveri ad un piccolo popolo con molti bambini?”
Infine, una lettera alle comunità cristiane in tutte le sue componenti: parrocchie e associazioni, movimenti e ordini religiosi, un accorato appello alla fraternità cristiana che ha i poveri al centro, perchè ha il Signore Gesù al centro. La proposta di un’adozione speciale, nell’amicizia e nella fraternità, verso le famiglie rom e sinte. "Forse nessuno come i Rom e i Sinti può assommare in sè tutte le povertà di cui parla il Vangelo nel Vangelo di Matteo al cap. 25. Oggi il futuro della Chiesa tra i Rom e i Sinti è la fraternità: vivere con noi la fraternità del Vangelo. Forse potremmo scoprire di avere anche più risorse di quelle che immaginiamo: forse qualcuno potrebbe mettere a disposizione un piccolo alloggio, qualcun altro potrebbe offire un lavoro part time, un altro potrebbe sostenere l’impegno scolastico dei più giovani. Potremmo condividere le feste e le sofferenze, come si fa tra famiglie amiche, potremmo farci compagnia con i nostri anziani e i Rom e i Sinti…forse sogno, ma forse no. Anzi, sì: è il sogno di Gesù, quello di vedere i suoi figli tutti riuniti in una sola famiglia, la Sua famiglia."
AI ROM E AI SINTI CHE VIVONO CON NOI: LETTERA PASTORALE (PDF)
C’è anche un documento, presentato insieme alla lettera pastorale, frutto del lavoro congiunto di alcune realtà ecclesiali. Tra queste, la Comunità di Sant’Egidio. Di cosa si tratta?
Si, si intitola "Vogliamo vivere insieme". E’ un’innovazione molto importante, perchè contiene l’idea che la lettera pastorale si traduca in azioni concrete, una nuova pratica anche sul piano delle istituzioni e delle politiche. La Comunità di Sant’Egidio è impegnata intensamente accanto ai rom, e non da ieri. E’ stato importante scrivere queste pagine insieme ad altre realtà eccelsiali e del volontariato di Torino, per aprire una via per l’integrazione dei rom e dei sinti ed uscire dall’emergenza. Vorremmo aprire un programma decennale di inclusione che metta insieme gli sforzi di tutti gli attori pubblici, ecclesiali, del volontariato, economici e culturali per realizzare il sogno dell’integrazione dei rom e dei sinti e poter offrire un nuovo "modello Torino" che accolga le sfide dell’inclusione del XXI secolo.
DOCUMENTO: VOGLIAMO VIVERE INSIEME (PDF)
Una sfida entusiasmante, che ci ricorda una coincidenza forse non casuale, il 50° anniversario del Concilio Vaticano II.
Certo. E’ tempo di realizzare la "Chiesa di tutti e particolarmente dei poveri" che fu il sogno di papa Giovanni, che è – vorrei dire – l’impegno quotidiano di tanti uomini e donne della Comunità di Sant’Egidio – ma non solo. Ed io ho grande fiducia nel fatto che l’accoglienza ai rom sarà il segno di una vera "primavera" della carità, per la Chiesa, ma per tutta la nostra città.
Dal drammatico attentato alla scuola di Brindisi che costò la vita alla giovane Melissa, è nata una solida e significativa amicizia tra gli studenti di Mesagne e i Giovani per la Pace della Comunità di Sant’Egidio. Sono iniziati incontri e iniziative comuni, volti a tracciare le linee per un futuro diverso per i giovani. Una di queste iniziative si è svolta recentemente nell’Istituto "Epifanio Ferdinando" di Mesagne. Abbiamo ricevuto dal prof. Salvatore Lezzi e volentieri pubblichiamo un resoconto dell’Incontro.
Il 13 ottobre 2012 gli studenti delle classi terze e quarte delle sezioni scientifica e commerciale dell’II.SS. “Epifanio Ferdinando” hanno incontrato Alessandro e Chiara, due giovani romani della Comunità di Sant’Egidio i quali hanno presentato l’iniziativa “Giovani per la Pace”.
L’incontro si è svolto presso l’Aula Magna del Liceo Scientifico ed è stato molto partecipato da tutti gli studenti.
Il Prof. Salvatore Lezzi, in rappresentanza del Dirigente Scolastico, Prof. V.A. Micia e dell’intero corpo docente, ha illustrato le motivazioni dell’incontro “ di alto valore educativo e formativo” richiamando la necessità per le agenzie educative, ivi compresa la scuola, di aprirsi alle realtà e alle esperienze significative che sono presenti nell’ambito del mondo giovanile locale e nazionale.
In particolare il Prof. Lezzi ha fatto presente che la Comunità di Sant’Egidio, che egli ha definito ” un frutto maturo della Chiesa Conciliare”, è una realtà che si occupa di problematiche quali l’amicizia con i poveri e il servizio alla pace e che per tali sue meritorie iniziative dimostra, nel concreto, che cambiare è possibile, e che i giovani, in particolare, possono essere protagonisti del cambiamento.
Ha anche ricordato che in questi giorni, il 4 ottobre, ricorre il ventesimo anniversario della pace in Mozambico, un paese africano che fino a quel momento era stato teatro di una sanguinosa guerra civile; quella pace venne firmata a Roma riconoscendo il ruolo che nell’opera di mediazione aveva avuto proprio la Comunità di sant’Egidio e che valse alla stessa l’appellativo di “Onu di Trastevere” , come la definì un giornalista inglese.
Alessandro e Chiara hanno esposto le diverse iniziative che i “Giovani per la Pace” della Comunità stanno portando avanti da alcuni anni, scuola della pace tra i bambini dei campi nomadi nella capitale, progetti di integrazione per giovani immigrati, incontri con i richiedenti asilo di Lampedusa, con gli anziani di alcune case di riposo, con i giovani dell’est europeo ad Auschwitz, la campagna per il diritto al nome per i bambini africani e quella contro l’Aids, la campagna dei sensibilizzazione contro l’odio razziale e per le adozioni a distanza.
In particolare hanno motivato la loro presenza a Brindisi e a Mesagne, città toccate fortemente e nel profondo dall’attentato alle studentesse dell’Istituto Morvillo-Falcone che provocò la morte di Melissa Bassi e il ferimento di altre sue compagne, come una volontà di esprimere solidarietà a tutti i giovani studenti che si sono mobilitati per dire con forza il loro no alla violenza.
Dopo l’intervento di Alessandro e Chiara vi sono state numerose domande da parte degli studenti a cui i due giovani amici romani hanno risposto volentieri.
Infine Alessandro e Chiara hanno presentato anche l’iniziativa nazionale “una canzone contro la violenza”, aperto a gruppi musicali e a singoli cantanti che vogliono esprimere il loro impegno a favore della pace con la composizione di nuove canzoni; molti studenti hanno chiesto informazioni al fine di potervi partecipare. “E’ stata una bella pagina di scuola” ha commentato una alunna al termine dell’incontro.
Leggi la news e guarda le foto anche sul sito dell’Istituo Epifanio Ferdinando
Ci sono date, eventi che non si possono dimenticare. Una di queste è il 16 ottobre 1943, il giorno della grande razzia degli ebrei romani. Fare di questa data una memoria cittadina condivisa è stato un impegno che la Comunità di Sant’Egidio ha fatto suo ormai da molti anni. Ne è prova la marcia che ogni anno, il 16 ottobre parte da Trastevere verso il Portico d’Ottavia, percorrendo a ritroso il percorso che le SS fecero fare agli ebrei romani prelevati all’alba dalle loro case nell’antico ghetto. L’azione congiunta di Sant’Egidio e della comunità ebraica di Roma ha fatto sì che quel luogo porti il nome di Largo 16 ottobre 1943.
La memoria è un dovere tanto più quando, con il passare degli anni, le voci vive dei testimoni vengono a mancare. Proprio pochi giorni fa, il 1 ottobre, si è spenta quella di Shlomo Venezia, uno dei più infaticabili testimopni dell’orrore dell’olocausto. E’ urgente quindi, passare alle giovani generazioni, il testimone dell amemoria. Il recente pellegrinaggio di circa 2000 giovani europei as Auschwitz, organizzato dalle Comunità di Sant’Egidio dei paesi dell’Est Europa, è un segno di grand eincoraggiamento.
Ma lo è anche il recente evento "Siamo tutti romani", che ha visto circa 500 giovani – studenti liceali e universitari – riuniti a Roma nella Sala del Centro Agesci, per dire no alla violenza dei pregiudizi, dell’antisemitismo, del razzismo. I giovani hanno ascoltato attoniti e commossi le parole di Rita Prigmore, donna del popolo sinto, che ha fatto l’esperienza del lager, e che ha subito sul proprio corpo gli esperimenti dei medici nazisti.
Per questo vogliamo ricordare oggi, alla vigilia di quel 16 ottobre, un’altra voce, quella di Settimia Spizzichino, l’unica donna che sopravvisse a quel 16 ottobre e, tornata da Auschwitz, fece della parola e della testimonianza incessante la ragione della sua vita e un’arma formidabile contro il male assoluto dell’antisemitismo e di ogni razzismo. Diceva Settimia:
"Ci sono cose che tutti vogliono dimenticare. Ma io no. Io della mia vita voglio ricordare tutto, anche quella terribile esperienza che si chiama Auschwitz: due anni in Polonia (e in Germania), due inverni, e in Polonia l’inverno è inverno sul serio, è un assassino.., anche se non è stato il freddo la cosa peggiore. Tutto questo è parte della mia vita e soprattutto è parte della vita di tanti altri che dai Lager non sono usciti. E a queste persone io devo il ricordo: devo ricordare per raccontare anche la loro storia. L’ho giurato quando sono tornata a casa; e questo mio proposito si è rafforzato in tutti questi anni, specialmente ogni volta che qualcuno osa dire che tutto ciò non è mai accaduto, che non è vero. …. Quarantotto donne eravamo, e sono uscita viva soltanto io. Molte di loro le ho viste morire, di altre so che fine hanno fatto. Come raccontare a una madre, a un padre, che la loro figlia di vent’anni è morta di cancrena per le botte ricevute da una Kapò? Come descrivere la pazzia di alcune di quelle ragazze a coloro che le amavano? Adesso molti dei genitori, dei fratelli, dei mariti, non ci sono più; le ferite non sono più così fresche. A quelli che restano spero di non fare troppo male. Ma adesso devo mantenere la promessa che ho fatto a quarantasette ragazze che sono morte ad Auschwitz, le mie compagne di lavoro. E a tutti gli altri milioni di morti dei Lager nazisti. Di quel gruppo faceva parte anche mia sorella Giuditta. Giuditta, così bella, così fragile, deportata assieme a me il 16 ottobre 1943".
(Dal libro "Gli anni rubati" di Settimia Spizzichino)
La Comunità di Sant’Egidio e la Comunità Ebraica di Padova hanno promosso una marcia silenziosa domenica 2 dicembre 2012 per fare memoria della deportazione degli ebrei padovani.
Lo striscione con la scritta "Non c’è futuro senza memoria", seguito da alcune centinaia di persone, ha attraversato un centro città già illuminato dagli addobbi natalizi. Un accostamento significativo, quasi a dire che la pace del Natale si prepara anche così; custodendo la memoria del male, con la ferma volontà di non permettergli più di distruggere vite, famiglie, la convivenza civile in una città.
La data della marcia ricorda il 3 dicembre 1943, che segnò sia l’inizio delle retate e degli arresti di ebrei in città, in esecuzione dell’ordinanza n. 5 della RSI, sia l’apertura del campo di concentramento provinciale di Vo’ euganeo. Il 17 luglio 1944, gli internati del campo furono deportati ad Auschwitz. Solo tre donne tornarono alle loro case. Tra loro Sylva Sabbadini, allora adolescente, che ha voluto inviare un suo toccante ricordo della deportazione.
La marcia ha attraversato l’antico quartiere ebraico e si è conclusa davanti all’ex sinagoga grande di rito tedesco, che fu distrutta da un incendio doloso nel maggio 1943. Lì hanno preso la parola l’assessore del comune di Padova Claudio Piron, Davide Romanin Jacur presidente della Comunità Ebraica di Padova, il rabbino capo Adolfo Locci e Alessandra Coin della Comunità di Sant’Egidio.
Era il 4 ottobre 1992, giorno di San Francesco, quando i rappresentanti delle parti in lotta in Mozambico, Frelimo e Renamo, firmarono a Roma un’accordo di pace che poneva fine ad una guerra civile durata per 18 anni dopo l’uscita dei portoghesi. Da quel giorno il paese non ha più visto scontri, si è trasformato in una repubblica democratica ed ha avuto regolari elezioni. Lo sviluppo economico è tra i più interessanti dell’Africa subsahariana. É meta di turismo per gli appassionati del continente, nonché oggetto di studio fra i “peace-builder ” globali per quella peculiare forma di mediazione portata avanti dalla Comunità di Sant’Egidio con successo.
Come ha fatto questa ex colonia portoghese a ricostruire il paese e mantenerlo in pace senza riprendere in mano le armi, come purtroppo tragicamente accade, rispettando gli accordi di Roma? Le celebrazioni di questi primi 20 anni saranno senz’altro occasione per dare una risposta alla domanda, in Mozambico e altrove.
Certo, il paese ha ancora molti problemi: più della metà della popolazione vive con meno di un dollaro al giorno e l’Aids è molto diffuso (anche questo curato da Sant’Egidio con il programma Dream); la speranza di vita è sotto i 50 anni e la violenza urbana sfocia talvolta in episodi di linciaggio. Come gran parte del continente africano, è al di fuori dagli interessi dell’occidente se non per le sue riserve di gas naturale.
Si può allora fare festa? Sicuramente. Perché in questi 20 anni il paese si è completamente trasformato ed è cresciuta una generazione di giovani che non ha conosciuto il conflitto. In questo periodo sono stati fatti incontri nelle scuole con i testimoni di quella guerra civile, per non dimenticare il dramma ed educare le nuove generazioni alla responsabilità della pace. Ed è stato anche lanciato un Festival musicale panafricano per il miglior pezzo originale sulla ricorrenza (si può anche votare online sul sito http://www.singafrika.org/).
Vent’anni di pace sono un anniversario quasi d’argento che val la pena festeggiare. Ricordando che sempre si può fare qualcosa per la pace, con un pensiero alla Siria o ai tanti paesi in guerra.
Molto interessante l’articolo pubblicato oggi su "Corriere salute" sulle cadute degli anziani in ambiente domestico. Circa il 30% delle persone, cioè una persona su tre, con oltre 65 anni di età che vive in casa – dice l’articolo, che riprende una ricerca della Cochrane Collaboration – subisce una caduta almeno una volta ogni anno. Questo avviene per diverse ragioni, per problemi di equilibrio, della vista o per disturbi come la demenza. A volte le cadute hanno conseguenze. Più gravi se l’anziano abita solo. Una su cinque richiede un intervento medico e una su 10 è causa di frattura. La prevenzione è possibile, ma non tutti i tipi di interventi adottati sembrano efficaci.
Ma cosa si può fare?
Una proposta, semplice ma efficace, viene dalla Comunità di Sant’Egidio, autrice, tra l’altro, di una serie di "manuali" dal titolo "Come rimanere da anziani in casa propria". Questi preziosi libretti (pubblicati ogni anno a Napoli, Roma, Genova e presto in altre città) offrono molti consigli utili, indirizzi, istruzioni su come accedere a servizi che spesso sono ignorati dai più.
Riguardo alle cadute, segnaliamo in particolare queste due pagine >>>
Cosa posso fare per evitare di cadere
Rispetto per l’autodeterminazione degli anziani
Più di 300 persone – e tra loro vari Rom e Sinti – del Movimento Genti di Pace, hanno ascoltato in un silenzio partecipe e commosso il racconto della sig.ra Prigmore; dalla storia della sua famiglia commerciante di cesti in vimini, all’arrivo delle leggi razziali e dei primi deportatati nei campi di concentramento, fin alla tragica esperienza personale degli esperimenti medici sui gemelli che ha portato alla morte della sorella e ad aver subito lei stesso gravi interventi.
Poi Rita Prigmore, felicitandosi dell’esperienza di Genti di Pace, ha concluso con un appello per il presente e il futuro: “non accettate mai che vi siano discriminazioni per una presunta razza o un gruppo etnico o religioso; costruite insieme un’Europa che sa accogliere tutti”.
Daniela Pompei introducendo l’incontro ha sottolineato l’importanza per Genti di Pace (movimento costituito da italiani e immigrati provenienti da oltre 120 paesi) di conoscere la storia del nostro continente – anche all’indomani del conferimento del Premio Nobel per la pace alla UE – attraverso le parole di una testimone eccezionale come Rita Prigmore, per essere cittadini consapevoli e pronti alla costruzione della nuova Europa.
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