La preghiera per la pace di Anversa rivissuta in tante parti del mondo

Se – come ha detto papa Francesco – l’attualità è tragicamente segnata da una guerra che si combatte a capitoli, a puntate, ha un senso che le comunità di Sant’Egidio nel mondo vivano lo spirito di Assisi in più luoghi, in successione, dando seguito all’immagine di pace, memoria e unità che viene dalla cerimonia al Grote Markt di Anversa, continuando a declinare in nuovi contesti il messaggio della Preghiera per la Pace del 9 settembre scorso, ben documentato sul sito della Comunità, www.santegidio.org..
Manifestazioni analoghe a quelle di Anversa si sono svolte in questi giorni in Messico, presso l’Università Iberoamericana, gestita dalla Compagnia di Gesù, avendo presente lo sfondo di violenza diffusa che insanguina la regione mesoamericana. In Camerun, dove leader cristiani e musulmani hanno voluto riaffermare l’impegno a vivere il dialogo e l’amicizia interreligiosi nonostante la minaccia fondamentalista di Boko Haram e fare memoria delle vittime dell'epidemia di Ebola. E ancora a Cuba, per la prima volta, in una cerimonia particolarmente suggestiva che ha ricalcato quella di Anversa e si è conclusa nella splendida cornice di Plaza de Belén, a La Habana Vieja.
E infine a Bukavu, nella Repubblica Democratica del Congo, in uno degli occhi del ciclone della tempesta violenta che scuote il mondo. Rappresentanti delle religioni e della società civile hanno partecipato alle tavole rotonde e alla cerimonia finale a Place de la Paix, affermando che la costruzione di una società pacifica è responsabilità di tutti.
Questo fin’ora, ma nuove preghiere per la pace sono in preparazione, lo spirito di Assisi continua a soffiare e diviene impegno da portare avanti per tutto l’anno che viene.

 

Facebooktwittermail

Roma, Italia – Veglia di preghiera per i cristiani perseguitati in Iraq

Il 15 agosto, festa dell’Assunzione, la Comunità di Sant’Egidio di Roma si è riunita in una veglia di preghiera per la protezione e la salvezza dei cristiani perseguitati o minacciati in Iraq e in Siria. 
Ci si è in tal modo uniti all’intenzione di preghiera promossa dalla Chiesa italiana in seguito all’aggravarsi della situazione nel nord dell’Iraq e ai numerosi appelli lanciati dallo stesso papa Francesco in difesa di chi è perseguitato a motivo della propria fede – “Ci lasciano increduli e sgomenti le notizie giunte dall’Iraq: migliaia di persone, tra cui tanti cristiani, cacciati dalle loro case in maniera brutale; bambini morti di sete e di fame durante la fuga; donne sequestrate; violenze di ogni tipo; distruzione di patrimoni religiosi, storici e culturali. Tutto questo offende gravemente Dio e l’umanità”, alcune tra le sue parole -. 
La Comunità di Sant’Egidio segue da tempo la vita delle comunità cristiane in Medio Oriente, ed in particolare in Iraq. Negli anni Ottanta circa 10000 caldei – la Chiesa caldea, una delle più antiche della cristianità, è una delle chiese presenti nell’area -, che fuggivano dalla dittatura di Saddam Hussein e dalla guerra con l’Iran, sono stati aiutati dalla Comunità a trovare accoglienza nell’area mediorientale o in Occidente. Ma poi altre iniziative di solidarietà e di aiuto sono state portate avanti per i cristiani iracheni, in particolare a favore di ospedali e di centri per gli anziani, a Baghdad, a Karakosh, e in altre località. Memori di questa storia di vicinanza e di aiuto molti caldei erano presenti alla preghiera a San Bartolomeo, animando la veglia con i loro canti.
La scelta di San Bartolomeo all’isola Tiberina, memoriale dei martiri cristiani del nostro tempo, non è senza ragione. Nella Basilica sono conservate, tra le altre, le reliquie di due vittime della repressione anticristiana in Iraq: p. Raghid Ghanni, ucciso a Mosul il 3 giugno 2007 insieme a tre suddiaconi – la sua stola è stata posta sull’altare insieme alla Scrittura durante la celebrazione -, e mons. Bulos Faraj Raho, vescovo caldeo di Mosul, rapito e poi morto in prigionia nel marzo 2008.
La speranza è che questa preghiera, insieme alla mobilitazione e alla preghiera di tanti, fermi la violenza che si accanisce sui cristiani, sugli yazidi – una minoranza religiosa molto singolare presente nell’area -, sugli stessi musulmani – una quindicina tra imam e ulema sunniti, sono stati uccisi a Mosul per aver difeso i cristiani della città -, e possa aprire prospettive differenti. Si tratta di vincere la tentazione dell’indifferenza e della rassegnazione, di trovare strade di pace e di garanzia che salvaguardino una presenza plurale millenaria, una tradizione di convivenza mai così a rischio come oggi.

 

Facebooktwittermail

Sant’Egidio in festa con i musulmani più poveri in occasione dell’ ‘Id al Fitr

I musulmani di tutto il mondo hanno appena celebrato l’ ‘Id al Fitr, la festa della “rottura del digiuno”, che segna la fine del mese sacro di Ramadan, dedicato al digiuno, alla preghiera e al soccorso dei poveri. 
La Comunità di Sant’Egidio ha espresso i propri auguri per questa ricorrenza a tutti i suoi amici musulmani, e ha voluto permettere la celebrazione dell’ ‘Id a quei poveri che non avrebbero avuto l’opportunità di farlo, tanto nel paesi musulmani, come in Indonesia – ed ecco la foto della festa dell’Iftar con i senza dimora, che pure in condizioni veramente difficili osservano scrupolosamente il digiuno -, quanto in Occidente – si veda la foto della cena di stile familiare che si è svolta nel Centro di Identificazione ed Espulsione di Ponte Galeria -.
“Grazie perché pensate a noi: siamo fratelli, cristiani e musulmani”, ha detto commosso un ragazzo egiziano in stato di fermo a Ponte Galeria.
E’ il senso, in effetti, di questo gesto di amicizia, vissuto in varie forme anche in altre parti del mondo dalle locali famiglie di Sant’Egidio, nello spirito del messaggio inviato qualche giorno fa, proprio per l’ ‘Id al Fitr, dal Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso: “Lavoriamo insieme per costruire ponti di pace e promuovere la riconciliazione. Possa la nostra amicizia ispirarci sempre a cooperare nell’affrontare le numerose sfide [che abbiamo di fronte] con saggezza e prudenza. In tal modo potremo aiutare a ridurre le tensioni e i conflitti, facendo progredire il bene comune. Dimostreremo pure che le religioni possono essere sorgente di armonia a vantaggio di tutta la società. Preghiamo che la riconciliazione, la giustizia, la pace e lo sviluppo rimangano le nostre prime priorità, per il benessere ed il bene dell’intera famiglia umana”.

Facebooktwittermail

Bukoba, Tanzania – Conferenze nelle scuole, verso un movimento di Giovani per la Pace

Le comunità di Sant’Egidio della Tanzania intendono vivere l’impegno cui tutto il movimento presente negli stati dell’Africa orientale è stato chiamato dal recente convegno svoltosi a Bujumbura, in Burundi, e di cui si può leggere sul sito www.santegidio.org. E’ l’impegno ad andare avanti sui temi della preghiera, dei poveri e della pace, quello di trasmettere alle giovani generazioni una sensibilità diversa verso le fasce più deboli della società (anziani e bambini), quello di costruire nel continente un umanesimo cristiano fatto tanto di cultura quanto di compassione.

Una serie di conferenze per presentare la realtà e il lavoro di Sant’Egidio si sono così svolte in questi ultimi giorni in diverse località della Tanzania, a Dar es Salaam, ad Arusha, e soprattutto nella regione di Kagera, capoluogo Bukoba, la regione vicina al Rwanda e al Burundi.

Centinaia di studenti delle scuole secondarie, pubbliche e private, hanno potuto ascoltare la proposta di un Vangelo della fraternità e del servizio, attento ai bisogni dei più poveri, aperto ad orizzonti più larghi di quelli abituali. 
 

In un clima di grande attenzione hanno rivolto domande che riguardavano tanto la dimensione concreta dei contesti in cui vivono, quanto quella dei grandi scenari su cui si confronta Sant'Egidio.

La speranza è che da queste assemblee possa nascere una rete di comunità nelle scuole secondarie, un “Giovani per la Pace” tanzaniano, un “Vijana kwa Amani” (in swahili), che si affianchi ai movimenti già presenti in molti paesi africani, in particolare in Malawi, in Costa d’Avorio, in Rwanda, in Mozambico.

 

 

 

 

Facebooktwittermail

Ceuta, Spagna – La vicinanza delle Comunità di Sant’Egidio ai richiedenti asilo del Centro di Accoglienza

Ceuta e Melilla sono due piccole cittadine spagnole in Africa, circondate dal territorio marocchino. Essendo gli unici avamposti dell’Unione Europea in Africa vi si dirigono migliaia di uomini e di donne, di ogni età, alla ricerca di un varco nel limes che separa il mondo ricco del Nord dallo scenario sofferente del Sud. 
L’Europa, così vicina, così lontana.  Sono anni, ormai, che si susseguono tentativi d’ingresso in massa – l’ultimo appena qualche giorno fa, con molti rifugiati o migranti brutalmente colpiti, secondo diverse testimonianze, dai poliziotti marocchini, mentre i loro colleghi spagnoli stavano a guardare – attraverso le reti metalliche e i dispositivi di varia natura che il governo di Madrid ha messo in campo per dissuadere o respingere gli assalti di chi spera di trovare dignità, libertà, benessere sotto un nuovo cielo. Ceuta e Melilla sono un altro muro del nostro villaggio-mondo apparentemente globale e spesso però parcellizzato, come quello al confine tra Stati Uniti e Messico, il sistema di filo spinato che separa Grecia e Turchia e tanti altri ….
La frontiera di Ceuta è un luogo di dolore per tanti. Una delegazione spagnola della Comunità di Sant’Egidio si è ad aprile recata nella zona di Tangeri, in Marocco, lungo la barriera che circonda Ceuta, nel CETI (Centro di Accoglienza Temporanea per Immigrati) di Ceuta vivono più di 500 richiedenti asilo provenienti da paesi subsahariani. Per conoscere da vicino la situazione in cui si trovano i tanti che cercano di entrare in Europa, i pochi che ce l’hanno fatta. 
Con gli ospiti del CETI è sorto un legame che non si vuole sciogliere, perché, com’è scritto nel Vangelo di Matteo, al cap. 25, “ero forestiero e mi avete accolto, prigioniero e siete venuti a trovarmi”. Il 21 giugno scorso alcuni membri delle Comunità della Spagna hanno organizzato una nuova visita e una festa con i richiedenti asilo del CETI.

Facebooktwittermail

Maputo, Mozambico – Il centro DREAM di Matola 2 dedicato ad Ana Maria Muhai, tra le prime attiviste del Programma

Il nuovo centro DREAM specializzato nella prevenzione della trasmissione materno-infantile dell’AIDS e per la cura dei bambini sieropositivi a Matola 2, popoloso sobborgo di Maputo, è stato appena intitolato ad Ana Maria Muhai, tra le prime attiviste del Programma.

Ana Maria Muhai, già gravemente malata, aveva potuto approfittare delle cure gratuite offerte da DREAM a Machava (Maputo) nei primi mesi dell’ormai lontano 2002, quando il Programma vedeva la luce con l’intenzione di garantire anche in Africa una diagnostica e delle cure di livello occidentale, una grande novità a quei tempi.

Grazie alle cure ricevute Ana Maria si era rimessa in salute, suscitando stupore tra coloro che l’avevano vista deperire ed avvicinarsi alla morte. Quell’esperienza di resurrezione l’aveva profondamente coinvolta, spingendola ad impegnarsi affinché tanti altri malati avessero fiducia nel trattamento e potessero ricevere le cure adeguate.

Ana Maria era divenuta una testimone instancabile, una tra le più conosciute e rappresentative del programma DREAM, intervenendo anche all’ONU per sostenere l’accesso universale alla cura. Donna coraggiosa e instancabile aveva creduto che il programma DREAM potesse, da “sogno”, divenire realtà e futuro di tanti malati del Mozambico e non solo.

La sua energia si era spenta l’anno scorso, nell’aprile 2013, per una patologia non riconducibile all’AIDS. Ma la sua voce e il suo esempio continuano a parlare e a incoraggiare. L’inaugurazione del Centro che porterà il suo nome si è svolta alla presenza della vice-ministro della Salute mozambicano, nonché di moltissimi pazienti in cura nel Programma.

Il suo impegno continua grazie allo sforzo di tanti altri attivisti, capaci di raggiungere il tessuto sociale del proprio quartiere o del proprio villaggio, dei quartieri e dei villaggi vicini, l’intera opinione pubblica di un paese. Tante altre donne come lei continuano ad essere protagoniste della liberazione dalla malattia, strumento di formazione delle coscienze, in definitiva una ricchezza per il paese in cui vivono.

Facebooktwittermail

Africa – La preghiera per la pace, memoria fedele di tante situazioni difficili, “ardente aspirazione” di uomini e donne senza numero

Domenica scorsa, 25 maggio, papa Francesco, pellegrino sui luoghi in cui è nato e vissuto il Principe della Pace, aveva voluto sottolineare la necessità e l’importanza di ogni sforzo e di ogni preghiera per la pace. “Costruire la pace è difficile”, aveva detto, “ma vivere senza pace è un tormento. Gli uomini e le donne del mondo intero ci chiedono di portare davanti a Dio la loro ardente aspirazione alla pace”. E aveva continuato: “Tutti abbiamo il dovere di farci strumenti e costruttori di pace, prima di tutto nella preghiera”.
Le comunità di Sant’Egidio nel mondo intendono portare avanti con fedeltà un tale impegno. Si diffonde, in ogni realtà, l’abitudine a riunirsi almeno una volta al mese per invocare da Dio quella pace che Lui solo può assicurare pienamente, per ricordare uno per uno i nomi degli stati e delle regioni del mondo visitate e tormentate dal demone della violenza e della guerra.
Negli ultimi giorni due comunità africane hanno vissuto l’appuntamento per la pace in maniera più viva e larga del solito, come testimoniano le notizie e le foto pubblicate sul sito www.santegidio.org. 
Dalla Repubblica Democratica del Congo, dalla regione del Kivu, tanto sofferente a causa delle milizie armate, da Bukavu, è salita un'invocazione per la fine di ogni violenza, per la pace in ogni angolo del mondo. E significativa è stata anche l’attenzione data all’incontro dai media locali, un dato che riflette la crescente domanda di pace che si registra in Africa.
Qualche migliaio di km più a nord-ovest un’altra bella e sentita preghiera si è celebrata a Bamako, per chiedere che finiscano gli scontri armati che ancora insanguinano il nord del Mali, perché si trovi e si percorra la via del dialogo e della riconciliazione tra tutte le parti in causa. 
Il sito della Comunità riporta la storia di P., donna anziana, maliana, giunta “dopo ore di cammino da un quartiere molto distante. Incurante della stanchezza, pur di unirsi alla preghiera. La donna si è commossa nell'ascoltare quanti paesi nel mondo vivono ancora senza pace: ‘Pregherò ogni giorno per il mio paese, il Mali, ma anche per gli altri che oggi ho sentito nominare’”.

Facebooktwittermail

Ouellé, Costa d’Avorio – Una campagna di vicinanza tra giovani e anziani, contro l’abbandono e il pregiudizio

Si è conclusa da qualche giorno la campagna “di cortesia” che in Costa d’Avorio ha visto protagonista la locale Comunità di Sant’Egidio, impegnata nello sforzo di mettere al centro dell’attenzione pubblica la vita degli anziani ivoriani, il loro bisogno, il loro desiderio di un più forte patto intergenerazionale.
Gli anziani, che nella società tradizionale africana erano influenti e rispettati, sono ora, nel mutato contesto socioeconomico, nel differente clima culturale di una globalizzazione senz’anima, sempre meno considerati, quando non abbandonati, sempre più soli, sempre più lontani dal fluire della vita, a volte vittime del pregiudizio e di quella superstizione per cui continuerebbero a vivere “succhiando” l’altrui esistenza, quella dei neonati che vivono pochi giorni e così via (un pregiudizio e una superstizione che possono avere conseguenze anche gravissime, non solo la solitudine e l’emarginazione, ma anche i linciaggi).
La campagna, che ha fatto perno sulla cittadina di Ouellé, ha visto succedersi assemblee informative nelle scuole, iniziative di sensibilizzazione nelle piazze dell’abitato, una grande festa finale per la “celebration des personnes agés”. La speranza è che essa avvii una riconciliazione tra giovani e anziani, apra a un rinnovato incontro tra le generazioni, possa essere replicata in altri contesti, in altre città e paesi africani.

 

Facebooktwittermail

Napoli, Italia – Un convegno di Sant’Egidio sull’immigrazione ricordando la morte di Jerry Masslo

Due giornate di studio, l’8 e il 9 maggio scorsi a Napoli, hanno messo al centro il tema dell’immigrazione, come pure quello dell’integrazione nel tessuto sociale italiano ed europeo.
Il convegno è stato organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio, che in diverse realtà europee è attiva tanto nell’accoglienza a chi arriva da altre terre, quanto nell’integrazione attraverso la conoscenza della lingua del paese d’arrivo e dell’inserimento lavorativo. 
Dopo una toccante commemorazione a Villa Literno, sulla tomba di Jerry Essan Masslo, profugo sudafricano ospite in Italia della Comunità, ucciso il 24 agosto 1989, 25 anni fa, ci si è spostati a Napoli, per dare il via alla riflessione vera e propria, sul tema degli immigrati come “nuovi europei”, alla presenza di studiosi qualificati, esperti di migrazioni e di Africa, nonché di un largo pubblico proveniente dal capoluogo campano, dalle scuole dell’intera provincia, da Roma.
Daniela Pompei, responsabile per Sant’Egidio del servizio ai migranti, ha ricordato come la morte di Jerry Masslo abbia segnato una svolta nella storia dell’immigrazione in Italia: il risalto che la vicenda ebbe spinse il governo a cambiare alcune delle norme più antiquate in materia. “Oggi – ha concluso – in Europa c’è bisogno, come nel 1989, di un soprassalto delle coscienze, di una cultura nuova, di una intelligenza normativa e di una visione dell’Europa e del mondo meno impaurita, più aperta al futuro perché più aperta agli uomini e alle donne che cercano rifugio e pace”.
Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant’Egidio, ha ribadito che “non è possibile vivere l'immigrazione come una minaccia. E’ tempo di dire grazie: a Jerry Masslo e ai tanti che lavorano e aiutano nel nostro paese, ai tanti nuovi italiani e nuovi europei. La loro presenza ci indica un futuro comune di pace e coabitazione”.
Anche il cardinal Sepe ha voluto essere presente al convegno, ringraziando Sant’Egidio per aver voluto una riflessione così attuale, sottolineando come la “società plurale” di cui si era parlato è certo una sfida, ma soprattutto “una realtà che già ci appartiene e in cui dobbiamo imparare a vivere”.

 

Facebooktwittermail

Adjumani, Uganda – Una scuola per restituire il futuro ai profughi del Sud Sudan

Gli scontri che insanguinano il Sud Sudan spingono gruppi di profughi verso sud, verso l’Uganda. Circa 200 persone al giorno attraversano il confine e si stabiliscono nei campi che si stanno approntando nelle regioni settentrionali dell’Uganda.
Ad Adjumani, una di tali province di confine, è da tempo presente una comunità di Sant'Egidio che, vista la sofferenza delle popolazioni sud sudanesi, ed in particolare il bisogno di scolarizzazione dei più piccoli, si è attivata in tal senso, coinvolgendo pure la comunità madre di Roma e l’insieme dell'associazione laicale. 
I rifugiati dal Sud Sudan nella regione di Adjumani sono oltre 80.000, in massima parte dinka, divisi tra 15 campi, i più grandi e popolati dei quali sono i due di Nyumanzi. Il sovraffollamento crea problemi di tutti i tipi, che si aggiungono alla sofferenza di chi ha perso tutto in poche settimane.
Tra quanto si è perso, la scuola. Ecco perché Sant’Egidio ha pensato di restituire almeno questo alla gran massa di profughi di Nyumanzi. La scuola è presupposto di speranza e di futuro, è un investimento sulle giovani generazioni (in particolare sui bambini, 6000 delle 20000 presenze nel campo), una scommessa sul fatto che la guerra non sarà l’ultima parola nella storia della regione
Tutte le comunità del mondo hanno sostenuto e continueranno a sostenere, in collaborazione con la diocesi di Arua, una scuola elementare che si pensa di organizzare in più classi, sotto grandi tende. Un’iniziativa che servirà anche a recuperare e a motivare professionalità preziose, quelle degli insegnanti, profughi anch’essi, non più condannati a vivere aspettando gli aiuti internazionali, ma messi nelle condizioni di riprendere a lavorare per il futuro della propria gente.
Per chi volesse leggere il resoconto della visita degli inviati di Sant’Egidio a Nyumanzi si rinvia al sito www.santegidio.org.

 

Facebooktwittermail