Centinaia di persone all’introduzione delle memorie di tre martiri polacchi nella basilica di San Bartolomeo all’Isola, i beati Karolina Kózkówna, Stanisław Starowieyski e p. Jerzy Popiełuszko.

La chiesa di San Bartolomeo all’Isola Tiberina, fu affidta alla Comunità di Sant’Egidio dal beato Giovanni Paolo II, perchè ne facesse il memoriale dei testimoni della fede e dei martiri del XX e XXI secolo.

Per questo, venerdì 19 ottobre, un popolo variegato, fatto di pellegrini polacchi, di giovani e di famiglie della Comunità di Sant’Egidio, si è raccolta nella chiesa per una liturgia eucaristica, nel corso della quale sono state affidate alla basilica le memorie di tre martiri polacchi dei nostri tempi: i beati Karolina Kózkówna, Stanisław Starowieyski e p. Jerzy Popiełuszko.

La liturgia è stata presieduta dal cardinale Stanisław Dziwisz, arcivescovo di Cracovia, e concelebrata dal cardinale Kazimierz Nycz, arcivescovo di Varsavia, da mons. Józef Michalik, presidente della conferenza episcopale polacca, e da mons. Stanisław Gądecki, arcivescovo di Poznań.

Tra i numerosi pellegrini dalla Polonia, tra cui i fratelli del beato p. Jerzy Popiełuszko e il figlio di Stanisław Starowieyski, il “raggio luminoso di Dachau” come lo ha definito nella sua omelia il cardinale Nycz. Richiamando i lavori del Sinodo sulla nuova evangelizzazione, l’arcivescovo di Varsavia ha ricordato come “la testimonianza dei martiri sia il segno più visibile per il mondo di oggi” e ha espresso la sua gioia di offrire le reliquie di tre figli della nazione polacca alla venerazione dei fedeli che si recheranno nella basilica di San Bartolomeo all’Isola.

I tre beati hanno donato la loro vita in epoche diverse del Novecento, a testimonianza della fede viva e delle sofferenze affrontate dai cristiani polacchi nel servizio al Vangelo. La beata Karolina Kózkówna fu uccisa da un soldato russo il 18 novembre 1914, pochi mesi dopo lo scoppio della prima guerra mondiale; il beato Stanisław Starowieyski morì nella notte di resurrezione del 1941 dopo aver confortato i compagni di prigionia nel lager di Dachau; il beato p. Jerzy Popiełuszko, cappellano del sindacato libero Solidarność, fu torturato e ucciso dalla polizia segreta comunista il 19 ottobre 1984.

LE LORO VITE SONO NARRATE SUL SITO DELLA BASILICA

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SULL’EVENTO UNA SERIE DI ARTICOLI SULLA STAMPA

Zenit

STAMPA POLACCA

Relikwie polskich męczenników w bazylice św. Bartłomieja

Relikwie polskich blogoslawionych w rzymie

W rzymskiej bazylice złożono relikwie trojga polskich błogosławionych

 

 

 

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Giornata Mondiale dei malati di Alzheimer: una storia per sperare

Virginia viveva da sola, in due stanze in affitto. Entrando in casa, ti accoglieva la penombra di una lampadina fioca ed un odore di chiuso, di latte scaldato, di polvere.

Ormai da tempo per Virginia tenere in ordine la casa, ed anche se stessa, era diventato un problema: le capitava di indossare una gonna sporca senza accorgersene, di fare fatica ad infilare le chiavi di casa nella serratura, a trovare gli oggetti che le servivano. Si sentiva sempre più debole e sola. Fino a quando ce l’avrebbe fatta? Per rassicurasi cercava di negare la realtà: la pentola che non trovava più gliela avevano rubata i vicini, il frigorifero rotto non era necessario cambiarlo, e poi tutte quelle medicine servivano davvero? Lei non era malata, era sempre stata una donna forte, sana. Lei in casa sua aveva tutto, semmai mancava qualcosa era colpa dei vicini, che le volevano male: è facile approfittarsi di una donna sola! Ma glielo avrebbe fatto vedere a tutti: lei non era sola!

Così Virginia cominciò a trattare una bambola che teneva sul letto, una grande bambola, come le facevano un tempo, con il viso di coccio e il vestito di raso, come fosse una sua figlia.  La accudiva come fosse una bambina piccola, la cullava, le parlava, le dava il latte con il biberon, quando usciva la portava con sé: “E’ troppo piccola, non posso lasciarla da sola!” Era molto attenta a come “gli altri” guardavano lei e la sua ‘bambina’ , la bambola era anche diventata il modo per non essere più una povera vecchia invisibile, un modo per incontrare lo sguardo degli altri, come è avvenuto con alcuni giovani della Comunità di Sant’Egidio, che l’hanno conosciuta mentre camminava per la strada con la sua bambola in braccio. “Come si chiama? Maria”. Così hanno cominciato a parlare con lei, ad andarla a trovare nella sua casa, ad aiutarla nelle necessità della vita quotidiana senza scomporsi troppo per la presenza di ‘Maria’.

Le visite a casa di Virginia si moltiplicarono. Giorno dopo giorno, era sempre più chiaro che Virginia non riusciva più a compiere le azioni – anche le più semplici – della vita quotidiana da sola: come prendere le medicine giuste, se non ricordo che ore sono, e se le hai già prese? e come prepararsi da mangiare, se le ricette più abituali, quelle che Virginia cucinava così bene, sono come cancellate dalla mente? E dove trovare i vestiti, le scarpe, che la malattia nascondeva ogni giorno in luoghi sempre diversi e incogniti? Eppure Virginia cercava di non mostrare le sue difficoltà agli amici della Comunità di Sant’Egidio che gli erano diventati cari: non ricordava bene i loro nomi, ma nei loro visi riconosceva quell’amore che aiuta a vivere ed era felice di trascorrere del tempo con loro.

Virginia venne invitata a una piccola vacanza ai castelli romani, insieme ad altri anziani trasteverini. Da poco erano ultimati i lavori della casa famiglia per anziani di via Fonteiana. Una casa, donata alla Comunità di Sant’Egidio dal signor Manlio Isabelli, pensata per accogliere anziani in difficoltà. Virginia arrivò nella casa di via Fonteiana in un bel pomeriggio di Settembre. Le piacque tutto: il giardino con due palme, la palazzina anni Trenta, l’ambiente luminoso, pulito e sereno.

Subito successe un cosa imprevedibile: “Maria” venne semplicemente lasciata su di una sedia e dimenticata. E per Virginia iniziò una vita nuova: la presenza continua e delicata di amici ed operatori addolcivano le sue difficoltà. Le continue dimenticanze non pesavano più, le sue incertezze non erano motivo di giudizio, di derisione. Il mondo non era più popolato di "nemici" che nascondevano le cose, ma di volti amici di cui non era sempre chiaro il nome, ma – seppure diversi – avevano tutti la stessa espressione piena di affetto.

Virginia ha vissuto nella casa della Comunità di Via Fonteiana a Roma gli ultimi anni della sua vita. La malattia non ha vinto la sua gioia di vivere, anche quando la debolezza si è fatta più evidente.

Dipendere dagli altri, sempre di più, in tutto, non è stata una condanna, ma una condizione in cui più forte si è mostrato l’affetto di chi la circondava e che le ha comunicato la certezza di un amore che non finisce. Virginia questo lo ha capito bene. Certo, l’Alzheimer non le permetteva di spiegarlo con un discorso, ma la sua serenità – e anche la lunghezza dei suoi anni – hanno parlato a tanti della forze terapeutica dell’amore. E questo ne ha fatto anche una maestra: maestra di quell’abbandonarsi fiducioso all’amore degli altri, che nel Vangelo è espresso dall’esortazione di Gesù a farsi piccoli. 

Nella Giornata Mondiale dedicata ai malati di Alzheimer, ci è caro ricordarla, con l’affetto di sempre.

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In 2000 verso Auschwitz con Sant’Egidio

Giovani di Sant'Egidio, per un mondo senza violenzaMigliaia di giovani europei sono in partenza verso Auschwitz, in Polonia, per partecipare ad un grande incontro di riflessione sull’antisemitismo e dire no al razzismo e alla violenza che, anche se con volti diversi, sembrano riprendere spazio nelle nostre società colpite dalla crisi economica. Provengono da otto paesi, specialmente dell’Europa orientale: oltre all’Italia, Repubblica Ceca, Polonia, Romania, Russia, Slovacchia, Ucraina e Ungheria. E’ la terza edizione dell’Incontro Internazionale “Giovani europei per un mondo senza violenza”, organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio.

La proposta nasce dall’aver constatato, specialmente tra le giovani generazioni, un aumento degli episodi di violenza nei confronti delle minoranze e degli stranieri. Negli ultimi anni sembrano riemergere in modo preoccupante atteggiamenti antisemiti, di antigitanismo, xenofobia e razzismo, che sfociano spesso in atti criminali. Riappaiono bande neonaziste, si ripetono aggressioni contro contro rom e immigrati.

Da ciò l’importanza di visitare Auschwitz, luogo simbolo dell’orrore delle discriminazioni.  
I duemila giovani ascolteranno testimonianze commoventi di sopravvissuti dell’olocausto. Come quella di Rita Prigmore, donna sinta tedesca, sopravvisssuta allo sterminio nazista della seconda guerra mondiale che eliminò anche 500 mila zingari europei. Nel recente incontro “Uomini e religioni” a Sarajevo, Rita ha raccontato la sua storia dolorosa. Deportata con la famiglia, fu sottoposta agli esperimenti sui gemelli del dottor Mengele che causarono la morte della sorellina Rolanda. Scampata alla morte, ha vissuto negli Stati Uniti e recentemente è tornata in Germania per gestire un’organizzazione di sinti per la difesa dei diritti umani.

La visita ai luoghi della Shoah, le testimonianze e i tre giorni di riflessioni vogliono essere per i giovani un’occasione per rendere i giovani europei protagonisti della sfida decisiva per l’Europa: promuovere la cultura del convivere e riconoscere la dignità della differenza.   

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la gioia di essere fuoriusciti: San’Egidio porta in vacanza poveri e anziani

Anche in Russia l’estate di solidarietà

Nell’ultima settimana di agosto, come ormai da tradizione, gli “Amici della Comunità di Sant’Egidio” di Mosca hanno organizzato una vacanza  alla quale hanno partecipato un gruppo di anziani due istituti geriatrici; alcuni amici senza fissa dimora; vari poveri che in passato vivevano per strada e che, grazie al sostegno degli amici di Sant’Egidio, hanno trovato alloggio in strutture di accoglienza; alcune famiglie che vivono in situazione di disagio economico e sociale; tanti amici conosciuti a Mosca in diverse occasioni; giovani lavoratori e universitari.

Per la maggior parte di loro la vacanza estiva è l’unico momento in cui possono andare fuori città e trascorrere il tempo circondati dall’amicizia e dall’affetto degli amici della Comunità. Alcuni anziani non erano mai usciti dall’istituto dall’estate scorsa, degli amici che vivono per strada non facevano una vacanza da molti anni.
La vacanza è stata caratterizzata da un clima di gioia e di familiarità, arricchito da momenti di festa e da diverse attività. Come ogni anno, infatti, sono stati allestiti 7 laboratori dove ognuno ha potuto mettere in evidenza le proprie potenzialità. Quest’anno le attività proposte sono state: laboratorio di musica, di cucito, di poesia, di cucina, di teatro, di scultura con l’argilla, di sport. Per tutti i partecipanti ha aperto anche un “salone di bellezza”, dove chi voleva ha potuto tagliarsi i capelli. Molti, soprattutto gli amici che vivono per strada, ne hanno approfittato.

Ogni estate la vacanza degli “amici della Comunità di Sant’Egidio” è anche l’occasione per far conoscere a tutti i partecipanti alcune novità sulla vita della Comunità del mondo e per non restare indifferenti alle sofferenze di chi è lontano. Poiché l’anno scorso il ricavato della vendita degli oggetti prodotti da uno dei laboratori era stato devoluto a sostegno del programma DREAM in Africa, quest’anno una mattinata è stata dedicata al racconto sulle novità del programma. Il laboratorio di cucito, inoltre, ha prodotto alcuni oggetti che gli amici di Sant’Egidio venderanno per continuare a sostenere la cura dei bambini africani. In questo modo continua la costruzione del ponte di solidarietà tra la Russia e l’Africa, che gli amici di Sant’Egidio stanno promuovendo da alcuni anni.

Quest’anno la vacanza estiva è stata impreziosita anche dalla visita di un ospite d’eccezione. Tamara Chikunova, fondatrice dell’associazione Madri contro la pena di morte e la tortura in Uzbekistan. Tamara ha raccontato della sua esperienza personale, del sua storia di amicizia e collaborazione con la Comunità di Sant’Egidio nella battaglia per l’abolizione della pena di morte, ha incoraggiato tutti a non rassegnarsi di fronte alle difficoltà e di fare della propria sofferenza un motivo per aiutare gli altri. Molti poveri si sono commossi e le hanno rivolto parole di incoraggiamento e di stima.

I giorni trascorsi con gli amici poveri di Mosca hanno confermato la bellezza di un’amicizia gratuita che da tanti anni lega i poveri di diverse generazioni, dai più giovani ai più anziani, agli “amici della Comunità di Sant’Egidio”. Se la vacanza estiva è uno dei momenti più alti di questa amicizia, le visite regolari e l’affetto continueranno durante l’anno, in attesa della prossima estate, per una nuova vacanza piena di sorprese e di momenti di  gioia.

 

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Ruanda. Sant’Egidio: I poveri al centro

Cosa si fa e cosa si può fare per i poveri in Ruanda: una conferenza a Kigali

 

"Chiesa di tutti e in particolare dei poveri": a partire da questa espressione, tratta dal radiomessaggio con cui il beato papa Giovanni XXIII dava l’annuncio dell’apertura del Concilio Vaticano II, lunedì 27 agosto, a Kigali si è svolto un incontro pubblico nella casa della Comunità di Sant’Egidio per parlare dei poveri e dei diversi servizi che da più di 10 anni la Comunità svolge nel paese.

Si tratta soprattutto delle Scuole della Pace diffuse in tutto il paese (Kigali, Butare, Ruhengeri, Byumba) che arrivano a sostenere lo studio e la crescita di più di 1000 bambini, e di un servizio di aiuto e amicizia che vuole rispondere al bisogno di tanti anziani che, in particolare, rimasti soli dopo il genocidio del 1994, non hanno altra famiglia che quella della Comunità.

L’incontro ha sottolineato come questa vicinanza ai più poveri, caratteristica di tutte le Comunità di Sant’Egidio nel mondo, è radicata nello spirito del Vangelo e in carisma che è espressione viva ed efficace dello spirito del Concilio Vaticano II di cui quest’anno si celebrano i 50 anni.

Numerose testimonianze hanno mostrato come in un tempo di crisi economica globale, in cui la povertà di tante persone si acuisce, i servizi della Comunità rappresentano una reale e concreta possibilità di salvezza, non solo per i più poveri ma per tutta la società.

Sant’Egidio in Ruanda, grazie all’amicizia con i poveri mantiene vivo uno spirito di solidarietà e unità tra tutti i gruppi sociali e tutte le etnie, Tutsi, Hutu e Twa che rappresenta una risorsa per tutto il paese e mostrano che proprio l’amore per i poveri aiuta a vivere insieme.

Nel pomeriggio la Comunità ha accolto la visita del nuovo Nunzio Apostolico in Ruanda, Monsignor Luciano Russo, che, da poco giunto nel paese, ha incontrato i giovani della Comunità, ascoltato le loro testimonianze e  sottolineato il valore e l’importanza di ciò che la Comunità di Sant’Egidio sta facendo in Ruanda, grazie all’impegno di tanti laici che sono il segno di come lo spirito del Concilio Vaticano II è vivo anche in Africa.

 

 

La scuola della Pace della Comunità di Sant'Egidio a Kigali (Rwanda)

 

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Educazione alla pace nei villaggi del Nord dell’Albania

Grazie ai giovani della Comunità di Sant’Egidio venuti da Genova, Pavia e altre città del Nord Italia

 

All’inizio di agosto, quaranta giovani della Comunità di Sant’Egidio di Genova e Pavia hanno vissuto una settimana di solidarietà con i bambini di alcuni villaggi nel nord dell’Albania e con i minorenni detenuti nel carcere di Shenkoll.

L’amicizia tra la Comunità e i ragazzi di questi villaggi dura da molti anni, con visite a gennaio e ad agosto e un lavoro di educazione alla pace e al vivere insieme che ogni estate coinvolge circa cinquecento bambini.

In questi ultimi mesi le difficili condizioni economiche e la disoccupazione giovanile hanno causato un aumento della violenza nei contesti urbani come in quelli rurali, con un numero crescente di omicidi, alcuni dei quali legati al kanun, il codice consuetudinario che regola anche la vendetta.

Alcuni mesi fa a Barbulloje – un villaggio a poca distanza da Lezhe, popolato da famiglie provenienti dalle montagne del Nord – un uomo malato di mente, accusato di infastidire la popolazione locale, è stato ucciso con una raffica di fucile. «Era l’unica strada – hanno commentato in tanti – con uno come lui non c’era altro da fare».

Di fronte ad episodi come questo, i bambini dei villaggi di Barbulloje, Shkemb I Kuqe, Malecaj, sono stati coinvolti in attività che ruotavano attorno al tema della pace. Tutti – soprattutto i ragazzi più grandi – hanno discusso del vivere insieme, della condizione dei disabili, della difficoltà del perdono.

Un appello per la riconciliazione

Alla fine della settimana, i ragazzi hanno voluto redigere un appello per coinvolgere il villaggio nello sforzo di trovare delle strade diverse dalla violenza per risolvere i problemi. Alcuni hanno voluto esprimere il loro stupore di fronte al loro stesso cambiamento: «all’inizio – ha spiegato Dorian – non riuscivamo nemmeno a fare un gioco senza fare confusione: ora siamo capaci di parlare insieme e di scambiarci opinioni. Questo mi sembra incredibile».

Tre grandi feste di paese con musica, giochi e cibo hanno concluso la settimana. Tutti hanno fatto la loro parte: chi ha curato l’organizzazione, chi ha gestito la musica, chi ha portato un cocomero o del byrek. Davanti a tutto il villaggio radunato per la festa, i ragazzi hanno voluto leggere il loro appello e consegnarlo solennemente alle autorità politiche e religiose: «abbiamo capito che la violenza è una catena – hanno spiegato – che nasce dal nostro sangue caldo.Ma anche il perdono e la pace sono una catena. Quello che serve è solo qualcuno che inizi: noi, giovani albanesi, vogliamo essere quelli che iniziano a costruire la pace. Con i fatti e non con le parole».



Si fa scuola in carcere

Anche il corso di lingua italiana organizzato nello stesso periodo nel carcere di Shenkoll ha significato un incontro della Comunità con i dolori e le speranze dei giovani albanesi.

Gli studenti sono stati una ventina di ragazzi di sedici-diciassette anni, reclusi in attesa di giudizio nella sezione minorile di questo carcere, che è uno dei più grandi dell’Albania. Si tratta di giovani di diverse parti del paese, alcuni detenuti a causa di piccoli furti, altri accusati di omicidio. Nelle loro storie si legge tanto del senso di oppressione dei ragazzi di questo paese, stretti tra il desiderio di un futuro migliore e la mancanza di opportunità, in un tempo di crisi che ha reso impraticabile anche la strada dell’emigrazione.

«Io studiavo al liceo – ha spiegato Fran, che viene da Tirana – ma quando mi hanno proposto una strada per avere finalmente un po’ di soldi in tasca ho detto di sì, e adesso mi ritrovo qui dentro, forse per dieci anni».

Da due anni i missionari rogazionisti accompagnano la Comunità a incontrare i detenuti adulti e minorenni, per riempire il vuoto di attività in una struttura in cui ai detenuti non è proposta nessuna occupazione. Quest’estate la direzione del carcere ha accettato di far entrare una piccola delegazione per una settimana tutti i giorni, coinvolgendo i più giovani in un breve corso di lingua.

I ragazzi hanno seguito le lezioni con grande attenzione, tra lo stupore del personale, che si è lasciato coinvolgere nel clima di simpatia. La cosa che ha più colpito i detenuti, però, è stata la scoperta di un’amicizia gratuita, che non è mossa da interessi materiali.

Alla fine della settimana di lezioni, ogni studente ha affrontato l’esame con la tensione delle grandi occasioni. A ciascuno sono stati consegnati l’attestato ed alcune foto che hanno conservato con grande attenzione, ringraziando con solenni benedizioni.

 

 

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Incontro Mondiale per la pace a Sarajevo, 9 -11 settembre 2012

Per affrontare i temi più urgenti delle odierne società, della convivenza e della pace, centinaia di leader religiosi di tutte le confessioni e personalità del mondo della cultura e della politica, da oltre 60 Paesi, si incontreranno dal 9 al 11 settembre prossimo a Sarajevo, città simbolo della storia contemporanea.

Il Convegno internazionale è promosso dalla Comunità di Sant’Egidio, in stretta collaborazione con la Comunità Islamica in Bosnia ed Erzegovina, il Patriarcato Serbo ortodosso, l’Arcidiocesi di Vrhbosna-Sarajevo e la Comunità Ebraica in Bosnia ed Erzegovina. L’iniziativa è sostenuta dal pieno appoggio di tutte le realtà istituzionali e governative della Bosnia ed Erzegovina. Si tratta del più grande avvenimento di dialogo religioso e politico dalla fine della guerra del ’92.

Il meeting si colloca nella linea degli incontri annuali per la pace, che la Comunità di Sant’Egidio, dalla storica Giornata di Preghiera del 1986, ha organizzato negli ultimi 25 anni in tanti luoghi del mondo, diffondendo quello “spirito di Assisi” voluto dal Beato Giovanni Paolo II.

“Siamo stati forzati dall’Amore a promuovere questo incontro a Sarajevo” ha affermato Mons. Vincenzo Paglia.  “Il nostro compito oggi, come uomini di religione, è di ridisegnare il futuro dell’Umanità”. E ha aggiunto “Vorremmo ricominciare da Sarajevo, dove il secolo è stato come incorniciato dalla grande sofferenza provocata dalla guerra”.  

Il Card. Vinko Puljic ha sottolineato la diffusa collaborazione tra le diverse religioni, la più vasta dai giorni dell’ultima tragica guerra del ’92, e ha rilevato come “Anche se le religioni non sono un partito politico, né una lobby finanziaria, non sono deboli, hanno la forza della preghiera e la fede che attraverso un dialogo sincero possano rendere il mondo più umano”.

Emir Kovacevic, a nome di S. E. Dott. Mustafa Ceric, ha ribadito l’impegno alla piena partecipazione e alla cooperazione della Comunità Islamica di Bosnia ed Erzegovina, mentre Elma Softic-Kaunitz ha espresso la disponibilità della Comunità Ebraica a lavorare insieme in vista del grande progetto di settembre.

Raimondo De Cardona, Ambasciatore d’Italia a Sarajevo, ha manifestato il pieno sostegno del Governo italiano per la preparazione dell’iniziativa, sottolineando al contempo la dimensione europea dell’evento. La conferma della presenza all’incontro del presidente del Consiglio europeo, Hernan Van Rompuy, è un segno importante in tal senso.

L’Incontro Internazionale “Sarajevo 2012” a settembre sarà la più grande conferenza di dialogo religioso e politico dalla fine della guerra del ’92.

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Roma, Italia – Consegnate a San Bartolomeo le memorie delle tre Saveriane uccise a settembre in Burundi

Venerdì scorso, nella basilica di San Bartolomeo all’Isola Tiberina, a Roma, si è svolta la cerimonia di consegna di alcuni oggetti appartenute alle tre suore italiane delle Missionarie di Maria (Saveriane) uccise a settembre a Kamenge, quartiere popolare della periferia di Bujumbura, capitale del Burundi.
Bernardetta Boggian, Lucia Pulici e Olga Raschietti, tutte già anziane, sono morte nel cuore di quell’Africa cui avevano dedicato la loro vita di missione, aiutando gli ultimi fino alla fine, vittime di un episodio criminoso su cui non si è ancora fatta e forse non si farà mai piena luce. 
Le tre consorelle lavoravano coi missionari saveriani nella parrocchia di S. Guido Maria Conforti, promuovendo la riconciliazione fra le etnie, aprendo laboratori di formazione lavoro per i giovani e le donne del posto. Papa Francesco, ricordandone la “tragica morte”, aveva auspicato che “il sangue versato diventi seme di speranza per costruire un’autentica fraternità tra i popoli”. 
L’intera vita di Bernardetta, Lucia e Olga era stata segno di fraternità, scelta di compenetrarsi col popolo di Dio cui erano state inviate, fino a farne propria la lingua, e, con essa, dolori e speranze. Tra le memorie che sono state consegnate alla Basilica, che custodisce il ricordo dei testimoni della fede del XX e del XXI secolo, sono il piccolo catechismo in swahili di sr. Olga – “Nel mio servizio di catechista incontro tanti giovani, adulti, bambini che desiderano conoscere Gesù e si preparano a riceverlo nei loro cuori. Anche loro scoprono che vivere nella volontà di Dio dà pace e serenità per affrontare la vita”, aveva scritto – e il Padre Nostro in kirundi di suor Bernardetta. Ma anche la croce e il rosario di sr. Lucia parla del com-patire delle tre consorelle con i popoli dei Grandi Laghi, travolti in questi anni dai demoni della violenza etnica e predatoria – “Siamo contente di essere Chiesa che in forza del Vangelo annuncia, denuncia, serve, conforta, resta punto di riferimento per tutto il popolo. La riconoscenza che la gente ci dimostra perché restiamo accanto a loro anche nelle difficoltà attuali, ci dà gioia”, aveva scritto sr. Bernardetta -.
I loro corpi, così come avevano desiderato, sono stati sepolti in terra africana – aveva scritto sr. Lucia: “Ho già avvisato: se muoio, lasciatemi là. Ho sempre desiderato morire in Africa per risorgere il giorno ultimo col popolo africano, il popolo al quale il Signore mi ha mandata”. La loro memoria varca i confini e il tempo facendosi richiamo all’amore e al dono di sé. Come è scritto sul sito delle Saveriane, “l’assassino non ha tolto nulla a Lucia e alle altre sorelle, non ha spezzato la loro missione, ma l’ha portata a compimento. Ha permesso loro di mettere l’ultima parola, di dare la vita fino in fondo. Credeva di rubare loro la vita ma esse l’avevano già donata”.

 

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