Islamabad (Pakistan) – Sant’Egidio in preghiera ricordando la strage degli innocenti di Peshawar

Oggi, 28 dicembre, le chiese d’Occidente e d’Oriente fanno memoria dei Santi Innocenti. Bambini che sono morti al posto del Bambino, giovanissime vite cui, in un’orgia di sangue, in un delirio di potere, sono state rubate decine e decine di anni.
E’ giusto, oggi, ricordare ancora i bambini, i ragazzi (e i maestri) uccisi poco più di dieci giorni fa nella strage di Peshawar, e proprio in quel sacrario del futuro che è la scuola. 
In tutto il Pakistan, in quei giorni, si sono svolte processioni con candele, si sono viste preghiere per la strada. Una memoria pubblica, sentita in tutto il paese, celebrata insieme da cristiani e musulmani. 
Anche la locale comunità di Sant’Egidio ha voluto vivere quel ricordo. Come leggiamo sul sito della Comunità, “alla conclusione della preghiera nella Fatima Church di Islamabad, una fiaccolata, aperta dai bambini della Scuola della Pace di Sant'Egidio, ha attraversato le vie del quartiere, dove alcuni studenti musulmani dell’‘Islamic Ideology Council’ si sono uniti al corteo”. E pure a Sargodha, in piazza, “sono state accese tante luci, una per ogni vita spezzata dalla violenza” che tragicamente percorre il Pakistan come duemila anni fa Betlemme. 

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Blantyre – La gioia per una missione pastorale nella periferia del Malawi

Con il Natale sta per aprirsi un tempo nuovo, una prospettiva di speranza e di riscatto che parte dal piccolo di una mangiatoia, dal “sì” di una ragazza di periferia, dalla venuta al mondo di un bambino.
E’ tempo di novità e di prospettive inedite anche per la Comunità di Sant’Egidio in Africa. A Mpemba, in una township a una decina di minuti di macchina da Blantyre, la città più grande del Malawi, un prete e un diacono della Fraternità Sacerdotale Missionaria di Sant’Egidio ricevono la cura della parrocchia, dedicata a San Vincenzo de' Paoli: è la prima parrocchia di cui Sant’Egidio è chiamata ad occuparsi in Africa.
Il prete è don Ernest Kafunsa, malawiano, cui la parrocchia è stata affidata dall'arcivescovo di Blantyre, Mons. Thomas Msusa. Don Ernest sarà affiancato da Frank Gumbwa, anch’egli originario del piccolo paese dell’Africa australe.
La chiesa era gremita il 21 dicembre scorso, per l’ingresso nella comunità parrocchiale del nuovo parroco. Durante la liturgia, molto festosa, l’arcivescovo ha espresso la propria gratitudine a Sant’Egidio per il dono fatto alla Chiesa di Blantyre, come pure la certezza che don Ernest e don Frank sapranno esprimere quella paternità e quella vicinanza ai poveri che hanno appreso e vissuto durante la loro formazione.
La missione dei nostri due amici a Mpemba è senz’altro impegnativa. Il territorio parrocchiale è piuttosto esteso, essendo al confine tra città e zone rurale, e conta, oltre alla chiesa principale, ben 9 outpost (cappelle) sparsi in tutte le direzioni, a diversi chilometri l’uno dall’altro. 

 

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Niamey (Niger) – L’amicizia di Sant’Egidio con i minori in carcere

Quella dei minori in carcere è una delle più gravi sfide che i sistemi di detenzione africani devono affrontare.

Le condizioni di vita presenti in molte delle prigioni del continente, il sovraffollamento, i precari standard igienici, le limitazioni che riguardano il vettovagliamento e il rifornimento di sapone e vestiti, una certa qual debolezza delle garanzie giuridiche, già pesanti per chiunque, sono ancor più dure e penalizzanti per quel piccolo popolo di minori che è detenuto nelle carceri africane. 
Ciò che spesso manca è un pilastro della civiltà giuridica, la consapevolezza che il minore, anche se ha sbagliato, è un prigioniero cui rapportarsi in maniera diversa, la cui prigionia deve prevedere la frequenza di una scuola, deve tendere a percorsi di riabilitazione. Ciò che manca è uno sguardo differente, aperto al futuro, che indichi nuove strade a ragazzi disincantati o disperati, che crei un orizzonte e dei legami per un’umanità ancora bambina, privata di un normale tessuto affettivo. 
E’ su questa frontiera che si situa l’impegno delle comunità di Sant’Egidio africane nelle ali minorili dei penitenziari africani. E’ quello che, ad esempio, e lo leggiamo sul sito della Comunità, www.santegidio.org, fa la comunità di Niamey, in Niger.
“Le condizioni di vita nel carcere di Niamey sono estremamente precarie”, leggiamo: “I detenuti, alcuni di loro anche giovanissimi, mancano praticamente di tutto, dai vestiti al sapone. Anche il cibo scarseggia”. 
E però il sabato mattina, con l’arrivo dei loro amici della Comunità, per quei ragazzi nigerini la prospettiva cambia: “Ogni visita è un'occasione preziosa per parlare, raccontare i propri problemi, ma anche per riscoprire la bellezza dell'essere insieme: immancabili ogni settimana la partita di calcio e il pranzo, portato da fuori, che fa la differenza col menù degli altri giorni. L’amicizia cambia le persone, allevia la sofferenza e, nell’attesa del prossimo sabato, fa sognare una vita migliore”.

 

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Le scuole di Lingua e Cultura della Comunità di Sant’Egidio, un percorso di integrazione e di incontro

Nei giorni scorsi si sono ricordati con momenti di festa, di testimonianza, di dibattito, i 30 anni delle Scuola di Lingua e Cultura della Comunità di Sant’Egidio in molti dei luoghi in tutta Europa in cui le locali realtà del movimento ecclesiale svolgono tale servizio all’integrazione dei “nuovi italiani” e dei “nuovi europei”. A Roma, a Napoli, a Novara, a Barcellona, etc., ci si è chinati su una storia di amicizia e di inclusione a vantaggio dei tanti nuovi arrivati dal Sud del mondo in Europa, ma anche dei cittadini del Vecchio Continente. 
La scuola, infatti, oltre a fornire una chiave d’accesso nel nuovo mondo che il migrante si trova a esplorare, a facilitargli la ricerca di un lavoro e di una sistemazione più dignitosa, è anche lo strumento principe grazie al quale si riesce a passare sopra le differenze, a scoprire nell’Altro il Simile, a trovare un terreno comune d’incontro che allontani le tentazioni e rischi della contrapposizione. La scuola è il fronte sul quale si vince la battaglia dell’integrazione e della convivenza tra uomini e donne differenti in un mondo globale, in un tempo liquido.
Le parole pronunciate da papa Francesco all’Angelus di domenica scorsa – che si riferivano alle tensioni fra residenti e immigrati recentemente registratesi a Roma e in altre città -, “La comunità cristiana si impegni in modo concreto perché non ci sia scontro, ma incontro. È possibile dialogare, ascoltarsi, progettare insieme, e in questo modo superare il sospetto e il pregiudizio e costruire una convivenza sempre più sicura, pacifica ed inclusiva”, sono l’indicazione preziosa di un percorso di buon senso e di saggezza. Lungi dall’attardarsi ad avvelenare i pozzi della convivenza è ora di incamminarsi su una strada che può restituire tessuto e prospettiva alla vita di contesti urbani pur difficili quali quelli delle grandi città europee

 

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Bukavu, Repubblica Democratica del Congo – Un “sì” alla vita che parta dalla gente e dai giovani

Papa Francesco ha dichiarato lo scorso 23 ottobre: “Viviamo in tempi nei quali … si incita talvolta alla violenza e alla vendetta, pubblica e privata [e] c’è la tendenza a costruire deliberatamente dei nemici. [Ma] è impossibile immaginare che oggi gli Stati non possano disporre di un altro mezzo che non sia la pena capitale per difendere dall’aggressore la vita di altre persone. Gli argomenti contrari alla pena di morte sono molti e ben conosciuti. La Chiesa ne ha opportunamente sottolineato alcuni. Tutti i cristiani e gli uomini di buona volontà sono dunque chiamati oggi o a lottare non solo per l’abolizione della pena di morte, legale o illegale che sia, e in tutte le sue forme”.
La Comunità di Sant'Egidio – è noto – lotta da tempo contro la pena capitale. E lo fa promuovendo campagne di sensibilizzazione – ad esempio quella di “Città per la vita” – che intendono appunto formare le menti e i cuori a un più generale ripudio della violenza, della vendetta, del meccanismo del capro espiatorio.
Un lavoro del genere, prezioso ovunque, è ancora più importante in Africa, dove purtroppo, insieme a per la verità rare esecuzioni legali, si registrano molti casi di uccisioni extragiudiziali e di linciaggio.
Ecco allora che la comunità di Bukavu, nella Repubblica Democratica del Congo, ha voluto lanciare in diversi contesti del Sud Kivu una campagna di mobilitazione popolare a favore della vita e contro ogni forma di violenza, quella di origine statale e quella che nasce dal basso, dalla gente. 
Una campagna che è iniziata coinvolgendo le giovani generazioni, il futuro del paese e del continente, un futuro – tutti speriamo – meno violento e più amico della vita e dei diritti umani. Tanti studenti liceali, insieme ai loro genitori, hanno potuto partecipare a delle conferenze sulla pena di morte a Bagira, località nei pressi di Bukavu, riflettendo su come poter costruire e diffondere una nuova cultura della vita. 

 

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Giappone e Filippine – Contro la pena di morte, per una giustizia rispettosa dell’umanità e della vita

Nel giro di due settimane due importanti convegni hanno posto al centro del dibattito culturale asiatico il tema della pena di morte. Organizzate dalla Comunità di Sant’Egidio nel quadro della campagna “Cities for Life”, le conferenze svoltesi a Tokyo e a Manila nei giorni scorsi hanno fornito l’occasione per parlare in modo alto e approfondito di diritti umani, valore e rispetto della vita, abolizione della pena capitale, anche nel continente in cui, ancor oggi, la maggior parte degli stati continuano a prevederla nei propri ordinamenti. 
A Manila delegati di vari paesi asiatici – Filippine, ovviamente, e poi India, Indonesia, Vietnam, Sri Lanka, Cambogia, Laos, Mongolia -, 30 sindaci di altrettanti centri urbani che hanno aderito a “Città per la Vita”, nonché una rappresentanza della Conferenza Episcopale Filippina, intendono costruire una piattaforma di dialogo utile per quei paesi che hanno appena abolito la pena di morte o stanno per avviare un percorso verso una moratoria sulle esecuzioni capitali. Si tratta, nel pieno rispetto del patrimonio culturale e religioso asiatico, di riscoprire quei valori di umanità e di giustizia che sono il cuore della tradizione di quei popoli come di tutti i popoli.
Temi del genere erano già stati toccati la settimana precedente a Tokyo, nei locali della Dieta, il Parlamento giapponese. Lì rappresentanti delle istituzioni, attivisti della campagna per l'abolizione della pena di morte, testimoni dell’ingiustizia e dell’arbitrarietà della stessa, insieme a Mario Marazziti, presidente della Commissione dei Diritti Umani del Parlamento italiano e ad Alberto Quattrucci, della Comunità di Sant'Egidio, avevano insistito sulla portata umana e giuridica della sfida costituita dall’abolizionismo.
L’incontro di Tokyo ha vissuto un momento di grande emozione quando è intervenuto Iwao Hakamada, che aveva trascorso, da innocente, ben 46 anni nel braccio della morte: “Diecimila giorni senza uscire dalla cella”, ha dichiarato, come si può leggere su www.santegidio.org, “senza sapere se, al di là della porta, ci fosse l'inserviente per la cena o il plotone di esecuzione”.
Un vento di umanesimo e di vita soffia dunque sull’Asia, proprio mentre si registrano le autorevoli parole di papa Francesco, che, incontrando una delegazione dell'Associazione Internazionale di Diritto Penale, ha invitato “tutti i cristiani e gli uomini di buona volontà a lottare per l’abolizione della pena di morte, legale o illegale che sia, e in tutte le sue forme”.

 

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Roma, Italia – Sant’Egidio e i padri sinodali fanno memoria dei cristiani perseguitati

Si è appena concluso il Sinodo dei Vescovi sulla famiglia, convocato – come ha detto papa Francesco nell’omelia di beatificazione di Paolo VI – per “rispondere, con coraggio, alle innumerevoli sfide del presente”, per “prendersi cura delle ferite che sanguinano e a riaccendere la speranza di tanta gente senza speranza”.
Tra le ferite presenti al cuore della Chiesa è senz’altro la difficile condizione che tanti cristiani vivono nel mondo, tra marginalizzazione, discriminazione, persecuzione –  è anche di questo che si discute nel Concistoro di oggi, 20 ottobre, alla presenza dei Patriarchi orientali, sui cristiani in Medio Oriente e sull’impegno della Chiesa per la pace in quella regione -. 
E’ nella medesima prospettiva che domenica 12 ottobre, nella basilica di San Bartolomeo, padri sinodali dell’Europa, dell’Africa e dell’Asia hanno pregato insieme alla Comunità di Sant'Egidio, facendo memoria di quanti hanno perso la vita per il Vangelo e invocando protezione e pace per i perseguitati dei nostri tempi.
Ricordando i cristiani che soffrono in Medio Oriente e altrove il card. Schönborn, arcivescovo di Vienna, ha detto: “Il martirio è anche storia e testimonianza di una profonda unità delle Chiese nella tribolazione”. E’ l’unità plasticamente visibile in una basilica nelle cui cappelle laterali le reliquie di martiri di tutte le confessioni ricordano concordemente una storia di sofferenza e insieme di riscatto, i due volti del Novecento e del secolo che è appena iniziato.

 

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Abuja, Nigeria – Lavorare per la pace in un tempo di violenza

Un convegno di rappresentanti delle diverse comunità di Sant’Egidio in Nigeria, svoltosi alcuni giorni fa ad Abuja, la capitale del gigante africano, ha voluto riflettere sulle sfide che l’associazione ecclesiale vive nel paese ed in particolare sulla necessità di assumersi la responsabilità di testimoniare e comunicare la pace pur in un contesto segnato sia dalla violenza diffusa, sia – e soprattutto – dalla minaccia del movimento Boko Haram, le cui operazioni terroristiche si fanno scudo di un vocabolario religioso.
Ci si è chiesto come garantire un futuro di pace alla Nigeria, come costruire rapporti di amicizia e stima reciproca coi leader religiosi, coi membri delle diverse confessioni, coi giovani, come essere un seme di dialogo e di una prospettiva unitiva e compassionevole nei confronti della società.
Le comunità nigeriane intendono vivere tutto intero il mandato che papa Francesco ha affidato a Sant’Egidio in occasione della sua visita alla Comunità a Roma il 15 giugno scorso, mettendo in pratica le 3 “p” cui il pontefice aveva fatto cenno: “Andate avanti su questa strada: preghiera, poveri e pace. E camminando così aiutate a far crescere la compassione nel cuore della società, a far crescere l’amicizia al posto dei fantasmi dell’inimicizia e dell’indifferenza”.

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L’età anziana tornante “decisivo” nella Chiesa e nella società

La Comunità di Sant’Egidio partecipa oggi, domenica 28 settembre, al grande incontro voluto da papa Francesco con gli anziani e i nonni del mondo a p.zza San Pietro. 
Un evento in due fasi, la prima in forma di testimonianza e di dialogo, la seconda con la liturgia eucaristica. Al centro “la benedizione di una lunga vita”, come dice il titolo dell’iniziativa. 
Gli anziani della Comunità di Roma, come tutti coloro che sono coinvolti nel servizio ai più sofferenti o ai più soli tra quanti vivono la terza età, vuoi nelle case famiglia di Sant’Egidio, vuoi negli istituti e nelle cliniche di lungodegenza, come pure nel tessuto della Roma dei quartieri, si sono diretti di mattina presto verso San Pietro per una giornata che intende dire “No” alla cultura dello scarto” e “Sì” a una cura della vita che coinvolga tutti e tutti accompagni.
Perché, come ha detto mons. Vincenzo Paglia, Presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, a Radio Vaticana “gli anziani non sono ‘scarti’, anzi stanno nel cuore stesso della Chiesa. [C’è] una ‘decisività’ di questi anni, della terza età, per la vita delle famiglie, della Chiesa e della nostra società”.

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Oswiecim (Auschwitz), Polonia – I giovani di Sant’Egidio dall’est Europa: no alla violenza, sì all’incontro e alla pace

I giovani delle comunità di Sant’Egidio dell'Europa centro-orientale hanno appena compiuto un pellegrinaggio al campo di concentramento nazista di Auschwitz, in Polonia.
Il campo, enorme nella sua estensione, è stato il più grande di quelli utilizzati dai nazisti durante la II guerra mondiale per sterminare gli ebrei europei. Si calcola che non meno di un milione e mezzo di ebrei, uomini, donne, bambini, vi abbia trovato la morte; immediatamente, all’arrivo alla rampa ferroviaria, dove avveniva la prima selezione, o dopo mesi di inumano sfruttamento in condizioni di vita inconcepibili. 
Con gli ebrei anche decine di migliaia di zingari furono eliminati dalle SS tedesche, insieme ad altri uomini e donne giudicati inferiori e non meritevoli di vivere.
Le giovani generazioni dell’Europa dell’est non conoscono abbastanza quanto accaduto non molti anni fa in un continente oggi complessivamente in pace ma la cui storia è satura di guerre e il cui futuro è minacciato dal risorgere di conflitti.
Una marcia silenziosa ha allora condotto giovani provenienti da Russia e Ucraina (oggi, com’è noto divisi dal conflitto che si svolge nell’Est di quest’ultimo paese), Polonia, Ungheria, Rep. Ceca, Slovacchia, Romania, Georgia, dalla porta di accesso del campo al monumento presso i forni crematori, dove sono state deposte due corone di fiori, una in memoria delle vittime ebree e l’altra in memoria delle vittime rom.
La cerimonia ha seguito l’assemblea del giorno precedente, quando le centinaia di giovani membri di Sant’Egidio avevano potuto ascoltare la testimonianza di due ex prigionieri ad Auschwitz, sopravvissuti allo sterminio, un ebreo rumeno, Mordechai Peled, e una donna rom, Rita Prigmore. 
"Sappiate dire no alla violenza” ha detto ieri papa Francesco in Albania rivolgendosi ai giovani, “Dite sì alla cultura dell'incontro e della solidarietà”. E’ quello che questi giovani dell’Europa dell’Est potranno fare meglio d’ora in poi, coltivando la memoria di ciò che è stato, vivendo il sogno  di un’umanità che non si divide più in razze o popoli contro, ma si ritrova insieme nella ricerca della pace e del bene.

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